Una linea che ancora oggi cattura lo sguardo, e un carattere dinamico aggressivo e... “tagliente”. Nata più di trent’anni fa, è ancora un mito
Con il nostrano asso di spade, a partire dall’aspetto minaccioso, condivideva ben poco: rassicurante, foriero di buona sorte e perfino simpatico l’uno, soprattutto se parla di giochi di carte; aggressiva, sgraziata e per nulla rassicurante l’altra. Li accomuna la spada: l’uno il seme delle carte piacentine, l’altro la sanguinaria spada dei samurai usata per denominare una serie di motociclette della giapponese Suzuki dei primi anni ’80.
La Suzuki Katana, nelle versioni 750, 1000 e 1100, diede uno scossone alla produzione delle moto di serie e fornì indicazioni sullo stile delle moto da venire; senza ombra di dubbio ha lasciato una traccia, per non dire un solco, nella storia della motocicletta.
Tutto nasce sul finire degli anni ’70, quando si incrociarono due fatti: primo, la volontà della Suzuki di avere un modello che, oltre alle ottime caratteristiche tecniche già presenti nella gamma, avesse un importante impatto estetico; secondo, giusto a cavallo del Salone di Colonia del 1980, una rivista di settore indisse una sorta di concorso sul tema, allora di certo cavalcato, della moto del futuro. In qull’autunno del 1980 si videro dunque una creazione firmata Porsche motorizzata
Yamaha , una Giugiaro con meccanica Suzuki e infine una vecchia MV 750 rivista profondamente da Hans Muth, stilista tedesco attivo in quegli anni in
BMW e cofondatore della compagnia Target Design. Giusto dallo spunto della rossa Flyline, la Suzuki decise di commissionare una seconda ipotesi di moto per l’Europa, quindi dopo la media ED-1 già in cantiere, si mise mano alla ED-2 che sfociò poi direttamente nel Katana che oggi conosciamo. A Colonia, assieme alle futuristiche
Honda turbo, videro la luce una pressoché definitiva Katana 650 con cardano e un prototipo di 1.100 cm3, non viaggiante, su base GSX 1100.
La versione esposta a Colonia era la prima 16 valvole prodotta in grande serie e pur vestendo una base meccanica che in sostanza si rifaceva al decennio precedente, metteva sul piatto della bilancia un’estetica mai vista prima; tanto bastò per decretare il successo della nuova forma e la Suzuki decise per la messa in produzione della versione 1100 alla fine del 1981.
Alla versione di maggior cilindrata fu subito affiancata, anche se per alcuni mercati fu la sola, una versione di 1000 cm3, adatta anche alle corse delle superbike dell’epoca, e una versione di 750 cm3.
Le tre versioni erano praticamente uguali, distinguibili da pochi particolari che solo un occhio attento poteva notare: rivestimento sella, verniciatura cerchi, diametro ruota posteriore, qualche particolare di cosmesi e verniciatura e, ovviamente, qualche dettaglio legato al mercato sul quale la moto avrebbe dovuto essere venduta.
All’entusiasmo suscitato al salone di Colonia, però, non corrispose un adeguato riscontro sul mercato e, alla fine dei conti, la Katana non ebbe il successo sperato.
Questo anche per la brevissima durata sul mercato italiano ed europeo in generale della moto: circa 4 anni la 1100, uno o due di più la 750 che venne anche convertita in una improbabile versione Resincorse, forse per smaltire un po’ di scorte; il mercato americano l’accolse forse ancor peggio e durante la sua breve vita fuori dal Giappone, dove la storia fu ben diversa, si trovò ad avere in tempi brevissimi concorrenti sul mercato con prestazioni migliori e tecnica più aggiornata. Il samurai dovette rinfoderare la spada…
Lo spunto per la meccanica della Katana venne dalla GSX 1100, all’epoca ammiraglia della flotta Suzuki: troviamo un 4 cilindri raffreddato ad aria, 4 valvole per cilindro con testata TSCC, brevetto italiano dell’ingegner Piatti, forcella allo stato dell’arte arricchita con l’inedito dispositivo antidive, che all’epoca, nonostante pareri discordi, si rivelava molto utile nelle frenate e nel comportamento generale della moto, doppio ammortizzatore dietro e un bel forcellone scatolato in alluminio; il tutto unito a 4 carburatori Mikuni a depressione, accensione elettronica e gli ormai canonici tre freni a disco (due davanti e uno dietro).
All’epoca la stampa specializzata fu divisa non solo nel giudizio sull’estetica, cosa peraltro quasi scontata, ma anche sulle doti dinamiche del mezzo che a fronte di prestazioni all’epoca pressoché inavvicinabili dalla concorrenza, aveva un comportamento non del tutto confacente alla fama che il nome, la cilindrata, le prestazioni dichiarate e l’estetica le avevano costruito attorno. Infatti la moto aveva un comportamento sul veloce non del tutto irreprensibile: oggi sappiamo che i maggiori responsabili erano gli ammortizzatori oltre ad una generale “flessibilità” del telaio, problemi a cui comunque non è difficile porre rimedio, soprattutto attingendo all’aftermarket. In Giappone infatti esiste un vero e proprio culto per la Katana, rimasta in produzione fino al 2001 in svariate serie ma sempre immutata nell’estetica: oggi diversi produttori, da Yoshimura in poi, vendono quanto serve per arrivare con una vecchia Katana quasi a livello di una moderna superbike.
Guidare oggi la Katana non è come fare un tuffo nel passato remoto; si trovano caratteristiche riscontrabili in tante moto stradali a noi più vicine: dolcezza di erogazione, discreta potenza, buona frenata, ottima sistemazione in sella e conseguente posizione di guida. Il plexiglass, tanto vituperato all’epoca, offre in realtà una protezione inaspettata e le vibrazioni sono scarse.
L’esemplare che vedete nelle foto è una versione del 1983 denominata SD, che differisce dalla versione SZ per i colori di carrozzeria e di svariati particolari, i cerchi, il materiale della sella e qualche piccolo dettaglio; la meccanica resta la medesima salvo l’adozione di pistoni forgiati e lievi aggiornamenti.
Mettiamola quindi in moto: l’avviamento non è prontissimo e l’entrata in temperatura con il conseguente funzionamento regolare si fa attendere qualche minuto, dopo di che il motore gira regolare, pronto ai comandi dell’acceleratore ma sempre fluido e sornione; il regime migliore per far andare il tutto in armonia va dai 3.000 ai 6.000 giri al minuto, dove si riesce ad amalgamare meglio le caratteristiche di guida, la frenata è sempre affidabile anche se con il comando un pelo spugnoso per la presenza dell’antidive, e buona la tenuta di strada, sempre che i ritmi tenuti siano consoni ad una moto di 30 anni e 240 kg, il che comporta una guida decisa e maschia ma non brusca e nervosa.
Il mondo del collezionismo da qualche anno ha iniziato ad interessarsi alla Katana; per la sua storia, esclusività, affidabilità, la richiesta comincia ad essere interessante, così come le quotazioni.