Negli anni ’70 le giapponesi dettavano legge nelle vendite, ma italiane, tedesche, inglesi... con il tempo hanno visto aumentare il gradimento
Se il Rinascimento ha avuto il suo culmine, il massimo splendore e i maggiori esponenti giusto in Italia, un motivo ci deve pur essere. Non scopriamo certamente noi l’attitudine degli italiani alle arti, alla cultura e al gusto del bello, ma nessuno è perfetto, ogni medaglia ha il suo rovescio e dunque l’industria motociclistica nazionale ha vissuto anche tempi cupi. Così come non scopriamo oggi la grande attitudine del popolo tedesco al rigore e all’applicazione della tecnica, al grande impatto tecnologico delle scelte dell’industria e le conseguenti ricadute positive sui loro prodotti.
Le Case inglesi negli anni passati erano in sostanziale regime di monopolio nel mercato delle moto e, in virtù di questo, convinte che difficilmente qualcuno potesse offuscarne il prestigio. Così non fu e la storia e il tempo furono impietosi. Le moto inglesi erano un bel compromesso di quello che offrivano le italiane con il gusto e le tedesche con la tecnica e davvero gli esempi di moto grandiose sono innumerevoli. E l’America? Parlando del nuovo mondo si parla principalmente di
Harley-Davidson , ma anche della recentemente rinata
Indian e di tanti altri piccoli marchi, più o meno conosciuti ma quasi sempre legati alla filosofia motociclistica degli States.
Nella scorsa puntata (In Moto n. 6), dedicata alle moto giapponesi, i prodotti citati erano e sono decisamente trasversali, facilmente utilizzabili quotidianamente; nel caso delle moto che qui trattiamo la cosa è leggermente diversa: si tratta di mezzi che necessitano di un’attenzione maggiore non solo, ovviamente, di quelle odierne, ma anche delle contemporanee giapponesi. Qui parliamo dei pezzi di maggior rilievo a nostro giudizio, sicuri che ognuno di voi avrà invece in testa un’altra lista…
Moto Guzzi V7 Sport
748 cm3 e 205 km/h
Un prodotto, soprattutto la prima versione a telaio rosso, che ha segnato e marchiato a fuoco le sorti della Moto Guzzi e dei suoi prodotti sportivi per gli anni a venire nel bene e nel male. Nel bene perché parliamo di una moto eccezionale sotto più punti di vista: bella, veloce, la prima maxi a superare i 200 km/h, stabile, gratificante nella guida, capace di esaltare i piloti che si sono calati fra le sue forme e oggi quotatissima e ricercatissima; nel male perché in fondo la Casa non è riuscita del tutto a staccarsi e affrancarsi da un simile successo: le ottime versioni successive, dalla V7 Sport di normale produzione alla Le Mans 1000, passando attraverso la comunque eccezionale Le Mans del 1976, non riuscirono più ad alzare l’asticella. Anche i più recenti prodotti, con un occhio nostalgico rivolto in qualche versione a quella originaria, non hanno centrato in questo senso del tutto l’obiettivo. Ma è dura per tutti confrontarsi con dei miti…
Ducati Scrambler
436 cm3 (ma anche con motori 250 e 350) e 135 km/h
Senza la Scrambler, nata nel decennio precedente, gli anni ’70 non sarebbero stati gli stessi: pratica, bella, elegante, desiderata e trasversale; per un certo periodo, una quindicina di anni or sono, raggiunse quotazioni perfino eccessive e i fan erano disposti a follie per averne un esemplare anche da rimettere in sesto. Poi le cose si assestarono e la “tuttoterreno” bolognese rientrò nei ranghi, non senza aver lasciato un segno profondo nel mondo e nel mercato delle moto d’epoca. Due serie e svariate cilindrate per una moto simbolo e con un occhio rivolto al mercato americano.
Ducati 750 SS
750 cm3 e 225 km/h
Superbike formato Italia e un po’ di anni prima: derivata dalla versione gara portata alla vittoria da Paul Smart nella 200 Miglia di Imola del 1972, aveva tutto quello che serviva per far sentire il pilota come immerso in una gara: stabile, veloce, bella ed evocativa. Oggi un pezzo pregiatissimo sul mercato del “vintage” e con una serie di appassionati meccanici capaci di metterci, seppur a caro prezzo, le mani sopra. Gli anni ’70 proseguirono con varie evoluzioni ma anche involuzioni, con cilindrate di 900 e 1000, carter quadri più moderni e scelte votate a contenere i costi, a volte con risultati discutibili. La storia finì con la MHR 1000.
Laverda SFC/SF
750 cm3 e 210 km/h
Della SFC abbiamo parlato in dettaglio nel numero 2/2012; qui ricordiamo che derivava dalle versioni S impiegate nelle gare alla fine degli anni ‘60 e che fu proposta in tre serie con affinamenti sempre più importanti fino a raggiungere una maturità assoluta: veloce e robusta, resta una pietra miliare dell’industria motociclistica italiana.
La SF era più votata al turismo veloce e aveva doti importanti nell’affidabilità e nella qualità complessiva del prodotto: fabbricata in quattro serie sempre più evolute, vide, fra le svariate modifiche, il cambio dei freni anteriori da tamburo a disco (la sigla SF, ovvero super freni, era propria della versione con i freni a tamburo, e fu ugualmente mantenuta, a ragione, con le successive).
Da condurre, anche solo per tirare la frizione, non era per nulla amichevole e raffinata: servono oggi più che mai doti di guida esperta per avvicinarsi. È il suo bello.
MV Agusta 750 S
750 cm3 e 210 km/h
La moto di Agostini in salsa stradale; in realtà la cosa non era proprio così, ma bastava crederci e gli ingredienti c’erano tutti, anche se in fondo conditi un po’ alla rinfusa e con un elemento comunque sbagliato: il cardano. La cura costruttiva in generale non era quella che la clientela (potenziale, fu veramente venduta poco) si aspettava, così come alcune dotazioni. Ma a queste lacune pose rimedio Arturo Magni, direttore sportivo della Casa negli anni d’oro, iniziando proprio con la soluzione più attesa e desiderata dagli utenti sportivi: l’adozione della catena al posto del cardano. Impianti di scarico più performanti e qualche finezza ulteriore resero la moto varesina un po’ più vicina alle moto da corsa. Bella e rara.
BMW R 90 S
898 cm3 e 200 km/h
Superbike alla tedesca, vincitrice della prima edizione dell’AMA Superbike, nel 1976 con il pilota inglese Reg Pridmore, caratteristica per la sua colorazione bicolore e per l’affidabilità, in quegli anni quasi sconosciuta alle concorrenti. Era una sportiva che si prestava anche al turismo a medio e lungo raggio senza battere ciglio, e ancor oggi ricercata e ammirata. Il cupolino donava alla moto grande personalità.
Harley-Davidson Electra Glide
1.206 cm3 e 165 km/h
Manifesto dell’America motociclistica, marca spesso presente in film di successo, riprodotta in ogni salsa, dalle immagini pubblicitarie ai giocattoli per bambini e appassionati, per arrivare a un successo duraturo e inossidabile. Passata attraverso svariate generazioni di motociclisti, rappresenta la moto americana da turismo per eccellenza, quella alla quale i concorrenti hanno sempre dovuto fare riferimento, allora e oggi.
Norton Commando
745 cm3 e 190 km/h
Mito consolidato nonostante un’affidabilità non eccelsa, anche se nata nella seconda metà degli anni ’60, allunga la carriera fino al decennio successivo, con qualche novità tecnica come gli attacchi “Isolastic”. Ancora nel 1968 aveva prestazioni fra le migliori al mondo; declinata in diversi versioni e tipologie, fu prodotta anche in una pregevole versione supersportiva denominata PR. La Commando fu vincitrice di 4 titoli consecutivi di moto dell’anno (concorso indetto da una rivista inglese...) dal 1969 al ’72.
Triumph Hurricane
740 cm3 e 175 km/h
Vero e proprio manifesto di quegli anni, è davvero forse più bella oggi di allora. Originale nell’estetica, firmata dal designer americano Craig Vetter, faceva della personalità la sua dote migliore. Lo stile custom è espresso in modo davvero insolito, in pieno stile anni ’70. Stupendi i colori e i tre scarichi di fianco alla ruota. Doti tecniche e dinamiche in linea con le inglesi del periodo.
Non ci sono solo pezzi pregiatissimi e (oggi) non abbordabili da tutti. Le Case italiane negli anni ’70 ebbero una pregevole rappresentanza nelle piccole e medie cilindrate: moto come l’Aspes Juma, la bicilindrica Malanca E2C Sport, le varie
Moto Morini 3 ½, le Moto Guzzi V 35 e 50, tanto per citarne solo alcune, rappresentarono allora il sogno della giovinezza e oggi sono un’ottima opportunità per entrare nel mondo “vintage” con un bel pezzo da collezione, così come molto interessante è la Moto Guzzi California, arrivata più o meno simile ai nostri giorni, in attesa del modello 2013 totalmente diverso che farà rivalutare di conseguenza i modelli d’epoca. n