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Harley-Davidson, stop alle politiche di inclusione: colpa dei social?

Questo articolo si sarebbe potuto aprire con la notizia che Harley-Davidson ha comunicato l’interruzione di tutte le sue attività in favore dell’inclusione delle diversità.
A noi però non interessa parlare strettamente dell’Harley, quanto piuttosto del fatto che l’America conservatrice sta facendo sentire la sua voce prepotentemente.

No, il nodo non è neanche questo. Piuttosto apriamo con una domanda: quanto sono importanti i social network nella comunicazione e nel marketing, nella “Brand Reputation” di un’azienda? Il comunicato dell’Harley-Davidson ci offre il gancio per porre questo quesito.

L’annuncio dell’Harley-Davidson

Riassunto in sintesi il comunicato dice che a seguito delle forti negatività diffusesi sui social, l’Azienda prende molto sul serio il problema, e intende rispondere con chiarezza e fatti. E i fatti sono che a seguito di una revisione interna con gli azionisti, le attività sono state riallineate alle esigenze del business e della community.

I nuovi obiettivi prevedono la necessità di creare una base di dipendenti che rispecchi i clienti e le aree geografiche nelle quali si opera. E tutti debbono sentirsi benvenuti. Detto questo non c’è più una funzione DEI (Diversità, Equità e Inclusione) dall’aprile del 2024. Non si fanno assunzioni per quote e non c’è l’obiettivo di spendere su fornitori caratterizzati dalla diversità.

Sono state riviste tutte le sponsorizzazioni e le affiliazioni alle organizzazioni, con tali attività che d’ora in poi dovranno essere vagliate a livello centrale o dalla Harley-Davidson Foundation. Il marchio si concentrerà solo sulla promozione del motociclismo e sulla community, oltre al sostegno che già viene fornito ai primi soccorritori, ai militari ed ai veterani.
Harley non parteciperà più neanche alla graduatoria di HRC (Human Rights Campaign) sulle politiche aziendali relative ai dipendenti appartenenti alla comunità LGBTQ+. E anche la formazione dei dipendenti non avrà contenuti a sfondo sociale.

Su tutto resta il motto fondante dell’Azienda: United We Ride. Uniti si va in moto.

I perché di questa scelta

Che retromarcia! E Harley-Davidson non è la sola casa ad aver dovuto prendere questa decisione. Prima di lei l’avevano già annunciata altri colossi, come Polaris, che produce anche le moto Indian e Victory, John Deere, Tractor Pulling e Jack Daniel’s. Tutte aziende americane.

Quello che stupisce è come nel comunicato si sia ritenuto di doversi spingere a chiarire che tutte queste funzioni sono cancellate; persino la partecipazione alla graduatoria di HRC. E che a doverlo fare sia stata un’azienda il cui presidente e CEO, Jochen Zeitz, sia uno dei firmatari della CEO Action per la diversità e l’inclusione.

Dietro tutto ciò ci sarebbe un influencer 35enne cubano-americano, Robby Starbuck, ex regista e produttore di spot televisivi e clip musicali, che da inizio luglio aveva creato un forte movimento d’opinione contrario alle politiche di apertura dell’Harley-Davidson. Lo aveva fatto postando un video di dieci minuti, per accusare la casa di Milwaukee di essere diventata “woke” (un termine oggi utilizzato in maniera dispregiativa per identificare le persone bianche attente alle esigenze delle minoranze). Starbuck, tra l’altro, ha accusato l’Harley di lavorare per ridurre la percentuale di bianchi fra fornitori, concessionari e dipendenti. Oggi canta vittoria, e annuncia di voler continuare la sua campagna per arrivare a un’azienda con una base di clienti molto conservativa.

Vi sembra incredibile che un influencer sia riuscito a fare tanto, sebbene sia ricco, capace di muoversi sui social e appoggiato da amicizie importanti?

Ecco che torniamo alla domanda d’apertura di questo articolo: quanto contano i social nella reputazione di un marchio? Evidentemente tantissimo, se Starbuck è riuscito a convincere diverse aziende a fare una retromarcia che brucia, e che le espone comunque a critiche fortissime. E poco conta allora che secondo un’indagine Washington Post/Ipsos, il 61% degli adulti americani pensi che la DEI sia una buona cosa. Poco conta che secondo un’altra indagine condotta da Bridge Partners su 400 senior executives e decisori di risorse umane americani, il 72% di loro affermi di voler incrementare i loro programmi DEI nei prossimi 24 mesi. Poco conta che secondo HRC (Human Rights Campaign) il 30% dei giovani della Generazione Z (nati fra il 1995 e il 2010) si identifichi come LGBTQ+, con una ricchezza stimata in 1,4 miliardi di dollari.

E non si lascia spazio neanche alla valutazione che forse le prossime elezioni potrebbe vincerle Kamala Harris, che sicuramente porterebbe un deciso cambiamento del vento.

Harley-Davidson ha una community forte e sicuramente molto radicata sui social; anche una community anagraficamente lontana dalla Generazione Z. E questo ha spinto a mettere da parte tutte queste argomentazioni. E a tornare ai rassicuranti valori tradizionali dell’America.

Il potere dei social network, appunto, che ha un’influenza diretta sulla nostra cultura e informazione, ma anche sul nostro modo di approcciare la moto. Ne parliamo nell’approfondimento che potete trovare in edicola sul numero di settembre di InMoto.