Nobile stirpe. La YZF-R7 arrivò nel 1999 a completare la bella famiglia delle "R" Yamaha . Famiglia di cui facevano già parte le supersportive YZF-R1 ed YZF-R6 (arrivata anche lei quell'anno). La R7 rappresentava anche la massima espressione delle superbike-replica, e non a caso: nacque per portare lo scettro delle derivate di serie ad Iwata, ancora a digiuno di allori in quella categoria e da quella base derivarono le due moto ufficiali destinate al Mondiale con cui corsero Vittoriano Guareschi e il funambolico giapponese Noryuki Haga. Purtroppo, anche per un discusso caso di doping che vide protagonista "NitroNory", quel titolo non arrivò mai. E questo fu l'unico (e grande) rimpianto per questa superba moto.
DERIVATA DAI GP
Per la gioia dei più incalliti smanettoni del periodo (e non solo del periodo), la Yamaha R7 effettivamente si presentava non troppo distante nel look e nella linea dalle moto da competizione, tanto più se la si immagina priva degli accessori stradali come porta targa, frecce e specchi retrovisori.
La ciclistica era strettamente derivata da quella delle YZR e faceva sfoggio di sospensioni Öhlins e impianto frenante che si avvaleva di pinze monoblocco.
Il motore era un quattro cilindri in linea da 749 cc Genesis 20 valvole (radiali) comandate da una catena laterale, aveva pistoni forgiati, e bielle e valvole in titanio. Troviamo anche un raffinato sistema di iniezione elettronica (nel kit era disponibile il doppio iniettore per cilindro) in grado in parte di giustificare il salato prezzo d'acquisto di quasi 52 milioni di vecchie Lire; prezzo comunque facilmente incrementabile se si decideva di equipaggiarla con il primo step di potenziamento che costava 7 milioni di lire e in grado di accrescere la potenza a quasi 150 cavalli rispetto ai 106 di base.
Leggi la nostra prova del 1999: