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Rewind, Bimota YB4 E.I.: lo stato dell'arte

Nella seconda metà degli anni ’80, il massimo della tecnologia da corsa applicato a moto stradali era rappresentato da vere fuoriserie. Da questo punto di vista una Casa come Bimota non temeva certo confronti. Famosa per le sue realizzazioni – quasi esotiche – la piccola factory riminese faceva (e in qualche modo cerca di farlo ancora oggi) letteralmente strabuzzare gli occhi per le sue moto, rari esempi di stile e tecnica.

Bimota YB4 E.i. : debutto in gara e poi al Salone di Milano

Presentata al pubblico in occasione del Salone di Milano alla fine del 1987, la YB4 E.I. arrivò dopo la versione R che già da un anno correva nel campionato Formula TT e prima ancora, nel 1986, nel Bol d’Or. Una mossa doverosa, in quanto il nascente campionato SBK imponeva l’omologazione di un modello di serie e, nel caso di piccoli costruttori come Bimota, in almeno 200 unità.
La YB4 si può annoverare tra le sportive più pregiate della metà degli anni ’80. Per linee e contenuti tecnici raffinati, questa quattro cilindri rappresentava un punto di riferimento per la produzione sportiva italiana
che – è doveroso segnalarlo – all’epoca vedeva come compagna nel segmento la Ducati 851.
Come concetto di sportiva, solo la Honda VFR750R (o RC30) teneva il passo (e forse qualcosa di più...) della YB4, insieme alla quale condivisero un biennio di sfide agli albori del Mondiale delle derivate di serie, nato nel 1988. Un anno prima, in quello che era ancora denominato Formula TT, la YB4 fu vittoriosa con Virginio Ferrari e in seguito protagonista con Davide Tardozzi (vincitore a Donington della prima gara della storia SBK, nel 1988) e Giancarlo Falappa a dare filo da torcere alla RC30 di Fred Merkel.

La prima con motore Yamaha Genesis

Anche su strada la sportiva Bimota, equipaggiata con motore Yamaha 4 cilindri della serie Genesis (così erano chiamati i motori di Iwata dotati di testata a 5 valvole) metteva in campo “artiglieria pesante” in fatto di esclusività tecnica e stilistica, oltre ad essere il primo modello riminese con motore Yamaha ad essere omologato per uso stradale.

La filosofia costruttiva era senza compromessi e rappresentava quanto di meglio si potesse desiderare, non solo per l’impiego sportivo.
La Bimota è ancora oggi piuttosto convincente già sul piano estetico, soprattutto per il suo bel telaio in alluminio che abbina travi estruse a piastre fuse, per la carenatura in due soli pezzi, per il design dello splendido codone, oltre che per l’azzeccata livrea bianco/rossa con filetti in oro. Forse solo il doppio gruppo ottico anteriore, protetto da uno schermo di plexiglass, risulta di minor impatto.
Non mancano ovviamente i materiali speciali, tanto che da ogni pezzo traspare una cura artigianale lodevole. La YB4 è una moto che eccelle nella realizzazione e costruzione della ciclistica: il telaio realizzato da Federico Martini, finemente lavorato, rappresentava il primo doppio trave in alluminio nella storia dell’azienda italiana. Non mancano parecchi pezzi ricavati dal pieno: in questo ambito la piccola-grande Bimota è sempre stata un punto di riferimento per tutti.

Bimota YB4 E.I.: la tecnica

La forcella è una Marzocchi M1R con steli di 42 mm Ø ed è abbinata a dischi Brembo con doppia unità all’anteriore di tipo flottante di 320 mm Ø (abbinati a pinze a 4 pistoncini) e con posteriore di 230 mm Ø che montava su un forcellone in alluminio.

A livello tecnico spicca il collaudato propulsore a quattro cilindri in linea con cinque valvole per cilindro derivato dalla Yamaha FZ 750. Un’unità che venne rivista dai tecnici riminesi. In particolare cambiava il sistema d’alimentazione, con l’adozione della iniezione elettronica Weber-Marelli (una primizia per l’epoca). La distribuzione, a doppio albero a camme in testa, era dotata di tre valvole di aspirazione e due di scarico per ogni cilindro.
Il motore Genesis segna prestazioni notevoli, con erogazione ai bassi decisamente fluida, abbinata a una grintosa entrata in coppia sui 7000 giri ed un allungo fino a circa 12.000 giri. Il “venti valvole” Yamaha aveva una potenza massima di 97,5 CV a 10.400 giri (il V4 Honda aveva appena 0,3 CV di “svantaggio”, a un regime di 11.200 giri). La velocità massima, infine era di 248 km/h rilevati. Una particolarità interessante in questo motore è l’adozione di un “sopratesta” (nel quale sono ricavati gli alloggiamenti per le punterie e i supporti per gli alberi a camme) imbullonato superiormente alla testa vera e propria. Infine l’albero a gomiti, fucinato in un sol pezzo, poggiava su cinque supporti di banco.

La 750 riminese spiccava per le notevoli caratteristiche di guidabilità per il periodo, offrendo un’azione in sella che regalava soddisfazione per l’utente sportivo quanto ai campioni che correvano nel Mondiale SBK.

Sensazioni forti... per pochi

Sensazioni forti, dedicate a chi effettivamente avesse però una buona esperienza. In mani allenate era una moto raffinata ed in grado di produrre acuti raramente alla portata delle sportive di grande serie. La definiremmo una vera moto da corsa, dotata di un rendimento entusiasmante e una manovrabilità da record anche alle bassissime velocità, ma fatta per essere gestita da mani esperte.
Averne una in garage, oggi, è un privilegio che pochi collezionisti possono vantare. Il prezzo all’epoca era di 29.500.000 lire, mentre oggi, per un esemplare del 1988 e in perfette condizioni, siamo su valori superiori ai 30.000 euro.

Rewind, Gilera SP 01: fatta per correre

I nostri rilevamenti:

- Potenza massima 97,76 CV a 10.400 giri
- Coppia massima 69,65 Nm a 9.000 giri
- Velocità massima effettiva 248,8 km/h
- Accelerazione 0-100 km/h 3"0
- Accelerazione 0-400 10"9 velocità d'uscita 201,8 km/h
- Ripresa da 50 km/h in 400 metri 14"2 frenata 60 km/h 
- Peso 204 Kg