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Itinerari moto: in Madagascar

In onore della Giornata Mondiale dell'Africa, vi proponiamo un itineario fuori dallo Stivale, in particolare in un isola continente nero, quella che ha dato al nome anche un famoso film d'animazione prodotto nel 2005, da DreamWorks Animation.

Indice:

  • Prima di partire
  • L'inizio del viaggio e i primi dubbi
  • Fiumi popolati da coccodrili
  • INFO UTILI: passaporto, dove noleggiare la moto, quanto costa la benzina, ecc. (pag.2)

Prima di partire

Per questo viaggio in Madagascar avrei voluto contare ancora una volta sulla mia fida XR 650 compagna di tante cavalcate, ma i costi per la sua spedizione non si sono rivelati agevoli a causa anche di una rotta commerciale poco battuta.

Per vocazione sarei stato portato a compiere ancora una volta il viaggio in solitaria, ma l’idea di poter andare alla scoperta di sconfinati e stupendi scenari naturali, ove però da solo mi sarei probabilmente perso, ha subito catturato la mia mente. E per la cronaca, a viaggio compiuto ho avuto poi la prova provata delle difficoltà nelle quali mi sarei potuto seriamente imbattere, giacché anche la mia pur bravissima guida Damian talvolta ha avuto difficoltà ad orientarsi nelle steppe ove anche il GPS non gli è stato granché d’aiuto.

Ricordo anche una sua simpatica battuta allorché una volta che ci siamo persi su una radura, ebbe ad esclamare: “No worry Salvatore, Tutte le strade portano a Roma”. Sì, il malgascio lo disse proprio in italiano! Ogni problema è stato comunque ben superato grazie sia al suo grande senso della posizione sia alle informazioni fornite dal provvidenziale contadino di turno. E d’altronde sfido chiunque a conoscere palmo a palmo quasi 1.500 km di un territorio così selvaggio e variegato.

Tirando quindi due somme: il nolo della moto e la diaria della guida mi sarebbero costati meno dell’insieme spedizione della moto, tagliandi completi prima e dopo, treno di gomme, Carnet de Passage, assicurazione, ecc. Ma, cosa più importante, avere al fianco un nativo del posto che meglio avrebbe potuto farmi conoscere gli usi e le tradizioni del suo Paese, mi ha convinto.

In sintesi, saremmo partiti da Antananarivo per giungere dopo circa 1.500 km di fuoristrada a Tuléar, ove un pick-up ci avrebbe poi caricati assieme alle moto, per risparmiar loro (giacché non certo concepite per i lunghi tratti d’asfalto) i quasi 1.000 km della Road National 7 per far ritorno nella capitale.
In pratica era come partire da Milano per attraversare in fuoristrada tutta la dorsale appenninica sino a Reggio Calabria, per poi caricare tutto su un furgone per far ritorno in Lombardia lungo l’Autostrada del Sole.

L'inizio del viaggio e i primi dubbi

I preparativi mi hanno visto concentrato in particolare sul come compattare il più possibile il bagaglio da distribuirsi tra lo zaino ed il marsupio, giusto a non ritrovarmi troppo penalizzato in un off-road che talvolta avrebbe richiesto anche la guida in piedi. Sta di fatto che, alla fine, tra farmacia, qualche attrezzo, antipioggia, igiene personale, torcia, un misero ricambio civile per la sera, caricabatterie, zampironi, cellulare, acqua e quasi tre chili di attrezzatura fotografica, hanno costituito una zavorra di oltre 10 kg.

Certo non saremmo stati ai livelli della classica collina belga, ma che non sarebbe stata una passeggiata lo capii poi dall’atmosfera che percepii alla MTM di Serrano allorché mi presentai a ritirare la KTM 350 con cui sarei partito; davvero un ambiente ove tutti parevano essere cresciuti a pane, tassello ed olio di ricino: François, campione di trial, istruttore di off-road, editorialista di moto-magazine, un vero riferimento in Madagascar nel settore; Thierry campione di motocross, amico con il grande Giò Sala, e poi Damian, la mia guida, 36enne agonista ed istruttore anch’esso di off-road, di cui mi colpi il suo bagaglio ridotto ancor più all’osso.

Una pioggerella tiene a battesimo la nostra partenza dalla capitale, alla cui periferia lasciamo subito l’asfalto per innestarci su una pista montuosa dal fondo argilloso caratterizzata da insidiose e lunghe scanalature longitudinali, ritrovandoci ad affrontare anche i primi dei tanti guadi del viaggio. Ammirevoli le geometrie delle risaie estese ai piedi del Massiccio dell’Ankaratra. Trascorriamo la prima notte nell’accogliente agriturismo di Cristophe e Patty immerso in una boscaglia a ridosso del villaggio di Ambatondrakalavao.

Ripartiamo ancora una volta sotto una leggera pioggia, l’ultima però di un viaggio in cui le temperature mediamente si sono mantenute tra i 15 ed i 20 gradi, andando a fare benzina ad Ambatolampy, località famosa per la sua produzione artigianale di articoli in alluminio. Attraversiamo  poi una serie di altipiani percorrendo piste in un misto di fango, sabbia e pietrisco, talvolta solcate da infidi e profondi canaloni, per terminare ad Antsirabe.

I successivi 400 km sino a Morondava hanno costituito la tappa più lunga del viaggio, con tanto di invito di Damian a limitare al massimo gli scatti di foto anche perché in quei territori non è affatto consigliabile farsi sorprendere al buio ancora in marcia; ed in effetti, partiti alle 6:35 siamo giunti a destinazione all’imbrunire, con un inizio giornata che ci ha trovati persi in una radura a girovagare alla ricerca della direzione giusta giacché anche il GPS non gli è stato d’aiuto.

Saliti poi in quota tra gli sperduti crinali dell’Amoron-i-Mania, nell’attraversare un torrente ho avuto, ahimè, il mio battesimo dell’acqua. Dopo 45 anni in cui ne ho attraversati indenne di tutti i tipi, dal Tibet all’Islanda, dalle Ande alla Mongolia, l’impatto con un invisibile grosso sasso mi ha fatto bruscamente sbilanciare il manubrio, e scivolando a sua volta il piede sinistro messo giù in cerca di appoggio per non cadere, ecco che… splash!
In un baleno ho rialzato la moto, ed in effetti non pareva essere entrata tanta acqua nelle parti più critiche; il problema è stato che una volta tirata a riva e tentato di premere il pulsante di avviamento, ma, blackout, temendo a quel punto che l’impianto elettrico qualche danno l’avesse subito dall’acqua. Spersi tra desolate montagne e con il cellulare privo di segnale, il primo tentativo fatto è stato quello di attendere che il tutto si asciugasse. Dopo lunghi minuti abbiamo riprovato col bottoncino, e come d’incanto un cupo borbottio si è sprigionato dal motore trasformandosi ben presto in un brioso carosello di giri.

La fortuna ha voluto che poi ci pensasse l’arrivo all’Allée des Baobabs a rigenerarmi stimoli e morale, con la sua stupefacente parata di maestosi e millenari Adansonia Grandidieri, divenuti ormai la cartolina simbolo del Madagascar. Ripresa la marcia una brezza marina ha anticipato l’arrivo a Morondava, il ridente centro balneare ove ci fermiamo un giorno per effettuare l’ispezione e la manutenzione delle moto, risistemare e far asciugare quanto finito nell’acqua nello sfortunato guado, non mancando naturalmente un tuffo in mare nonché una visita al pittoresco villaggio di pescatori.

In serata Damian, che ho appurato essere praticamente conosciuto in ogni dove, mi ha portato in un localino che mai mi sarei aspettato di trovare in quel contesto. Lì è venuto a farci gli onori di casa Jean “le Rasta”, appellativo derivato dalla capigliatura del suo idolo Bob Marley a cui è ispirato il suo pub in cui puoi ascoltare buona musica dal vivo in compagnia di ottimi rhum, specie al chili.

Dopo giorni di altipiani e montagne, il viaggio riprende in pianura, tra distese per lo più sabbiose puntellate da termitai e cinque fiumi da guadare; qui immancabilmente c’era gente ad aspettarti sulle sponde ad esigere il pagamento dei diritti di attraversamento del “loro” torrente. In uno Damian vi sarebbe anche ritornato indietro per una foto, ma pare che avrebbero preteso di nuovo la “gabella”, facendomi tornare la mente alla famosa scena “un fiorino!” del film “Non ci resta che piangere” di Benigni e Troisi.
Nell’attraversare poi il quinto fiume, Damian seguendo una traiettoria rivelatasi più profonda della mia si è ritrovato l’acqua sia nel filtro dell’aria che nel carburatore, dovendo così poi smontare per spurgarlo. L’arrivo a Manja ha dato l’impressione di essere stati catapultati in un altro mondo rispetto a quello visto sino a quel momento; una sorta di Far West ove anche la gente appariva diversa dal solito, notando tra l’altro, unica volta di tutto il viaggio, un ragazzo che tra tanta miseria girava tutto vestito da “fighetto” con un vistoso orologio d’oro (vero o placcato che fosse) al polso.

Fiumi popolati da coccodrili

Andavadoaka, altra baia dalle acque turchesi, ha costituito la meta successiva in cui abbiamo dovuto far ricorso a rudimentali zattere per attraversare un fiume; il Mangoky, di ben altra portata rispetto a quelli precedenti. Lì Damian mi ha fatto notare che finire in acqua non sarebbe stato solo un problema di perdere le moto, alludendo infatti alla possibile presenza di coccodrilli... Da quel momento il paesaggio si è arricchito anche delle foreste spinose di Alluaudia.

La tappa verso Ankasy, invece, è stata quella che più ha segnato il viaggio. Infatti, nell’attraversare un’area di profonda sabbia, mettendo al contempo sotto le ruote anche tutti i cespugli che capitavano davanti, ed a una velocità tale da evitare l’insabbiamento, tutto ad un tratto urto violentemente la gamba destra contro qualcosa di nascosto nella vegetazione (grosso arbusto, ramo o chissà...), e sebbene afflitto da un acuto dolore, l’istinto mi ha spinto a non fermarmi per andare subito ad avvertire la guida dell’accaduto. Una volta tolto lo stivale, a parte una ferita sullo stinco, la gamba e l’articolazione sembravano a posto, con Damian che rimarcava il fatto che se non avessi avuto i miei Alpinestars le conseguenze sarebbero state ben peggiori. A quel punto si trattava solo di stringere i denti per giungere alla meta finale di Tuléar, guidando così anche tutto il giorno dopo, percorrendo peraltro una pista dalla sabbia più profonda di tutto il viaggio.

Giunti nella vivace località marina affacciata sul Mozambique Channel davanti alla Grande Barriera Corallina all’altezza del Tropico del Capricorno, c’era ad aspettarci il pick-up per caricare le moto e far ritorno tutti a “Tana” per la Road National 7.

Rientrato in Italia, notando un maggior gonfiore della gamba ed un colore bluastro sempre più evidente, sono andato a farmi visitare. Risultato: frattura dell’apice del malleolo peroneale. Conseguenza: un mese di gesso.
E qui chiedo venia per l’irriverente parallelo con il grande e compianto Hubert Auriol, primo al mondo ad aver vinto la Paris-Dakar sia in moto che in auto, allorché nell’edizione del 1987, peraltro ancora al comando del rally, si ruppe entrambe le caviglie sbattendo contro delle radici. Ciò nonostante, aiutato a rimettersi in sella, riuscì e terminare la tappa, mantenendo addirittura il comando della classifica. Il resto è nella leggenda del rally africano (quello doc).