Un incontro con la dirigenza della filiale italiana sui progetti della casa giapponese, che per il futuro guarda a tutto, dall’elettricità al biofuel, dai robot alle auto volanti
Mancano meno di dodici anni al 2035, anno per il quale l’Unione Europea e altri paesi nel mondo hanno fissato la fine dell’immatricolabilità di auto e furgoni con motori che emettono CO2.
Per le case produttrici di veicoli si tratta di una svolta dirompente, che già da tempo ha portato a stravolgere gli investimenti nello sviluppo e le linee produttive. I mezzi a due ruote per ora non sarebbero coinvolti da questa rivoluzione, ma è chiaro che non ne usciremo ‘indenni’. Di questo e altro abbiamo parlato in un incontro con lo stato maggiore di Suzuki Italia, azienda impegnata nei settori moto, auto e fuoribordo.
A fare gli onori di casa c’era Massimo Nalli, il presidente di Suzuki Italia, che ha iniziato proprio dai dubbi più spesso denunciati su questa conversione forzata: la carenza di materie prime, la necessità di produrre una quantità enorme di energia per alimentare i veicoli, le difficoltà di smaltimento delle batterie a fine vita.
Ciononostante in Suzuki sono pronti, con una road map che di qui al 2030 vedrà il lancio di molti nuovi modelli elettrici. Per i mezzi a due ruote, nel 2024 arriverà un primo veicolo da città interamente elettrico. Probabilmente sarà uno scooter, omologato come ciclomotore o al massimo come A1.
Di qui al 2030 saranno però ben 8 i mezzi a due ruote elettrici presentati dalla Suzuki. Con la previsione che per quella data il 25% del loro venduto sarà elettrico. Perché il restante 75% sarà ancora dei motori a combustione interna. E ci sarà una distinzione fondamentale, sulla quale concordano molti costruttori di mezzi a due ruote: via libera all’elettrico per il commuting urbano, ma si continuerà a puntare sul termico per la passione, e per i mezzi destinati a fare chilometri. Per i quali l’idea sarebbe di passare ai biocarburanti. Che però l’Unione Europea per ora non ha approvato, mentre ha accordato l’apertura agli eFuels, caldeggiati dalla Germania.
La sintesi di quanto detto oggi - chiediamo a Massimo Nalli a margine dell’incontro - è che Suzuki è pronta con l’elettrico in tutti i segmenti nei quali opera, ma non ci crede. Corretto?
“In realtà non siamo tanto noi a non crederci, quanto piuttosto i nostri clienti. Capiamo che il cambiamento climatico è un problema serio, e che la terra ci sta chiedendo di invertire rotta; ma non crediamo sia percorribile questo passaggio in blocco all’elettrico. Ci sono problemi con le terre rare, e come ha detto il presidente Osamu Suzuki già nel 2017, l’Europa dovrebbe dotarsi di 18 nuove centrali nucleari per fare fronte all’accresciuta richiesta di energia elettrica. Ciononostante ci adeguiamo agli indirizzi stabiliti, e siamo pronti a lanciare un gran numero di nuovi modelli elettrici. Certo, non possiamo non notare che ovunque e per tutte le case che producono elettrico, le vendite sono inferiori alle aspettative”.
Si venderanno i mezzi che state producendo, o i consumatori smetteranno di comprare?
“Non sono previsti grossi crolli del mercato - dice Nalli riferendosi però al settore auto -. Non siamo preoccupati di questo”.
Resta il fatto che molti dei clienti Suzuki hanno bisogno di veicoli mossi ancora dal motore termico, quindi la casa di Hamamatsu preferisce rimanere vicina e attenta alle esigenze dei propri clienti.
Nel ‘Suzuki Sustainability Report 2022’ il presidente Toshihiro Suzuki aveva detto “dobbiamo fare proposte con una visione olistica dell’intero ambiente che circonda i nostri prodotti. Questo non include solo i prodotti attuali, ma anche le relative infrastrutture e le strutture che sono utilizzate con i nostri prodotti”.
Questa visione oggi si estrinseca in una serie di iniziative e proposte che, come ha chiarito Nalli in conferenza, “non sono risolutive e non sono sufficienti, ma che porteranno comunque un contributo verso la soluzione del problema”. E su questa base, evidentemente comune, le grandi case giapponesi (non solo moto) stanno facendo fronte unico, unendo le loro forze nella ricerca.
Avevamo già raccontato come Honda , Kawasaki , Suzuki e Yamaha , insieme a Toyota (che ha il 4,9% delle azioni Suzuki), stiano lavorando alla ricerca sui propulsori a idrogeno. Nel corso dell’incontro si è parlato anche di ricerca sui biocarburanti, con 6 aziende riunite in un consorzio di studio mirato alla ricerca sulle biomasse (Suzuki, Eneos, Subaru, Daihatsu, Toyota e Toyota Tsusho). La Suzuki tra l’altro, che ha un ruolo di leader sul mercato auto indiano con il marchio Maruti, sta studiando la produzione di biogas dagli scarti e dai rifiuti organici degli allevamenti. Un progetto portato avanti in accordo con enti governativi indiani e con Banas Dario, il più grande produttore asiatico di latticini.
Sempre nell’ottica dell’approccio olistico, Suzuki ha un accordo con Toshiba e Denso, per produrre batterie al litio in India. E sta ovviamente lavorando per sviluppare nuovi e più efficienti sistemi di riciclo delle batterie esauste. Attraverso la sua società Suzuki Global Ventures, finanzia e collabora attivamente delle start-up innovative, siglando specifiche joint venture.
Con la l’australiana Applied EV sta lavorando ad esempio a una piattaforma per veicoli autonomi destinati alle consegne automatiche. Qualcosa di simile lo sta facendo con la giapponese Lomby, con robot di consegna autonomi basati sulla sedia a rotelle elettrica della Suzuki. Con PowerX, pure lei giapponese, si stanno studiando batterie più evolute. Poi c’è Skydrive, assieme alla quale si lavora all’auto volante, con l’obiettivo di presentare nel 2025 all’Esposizione Mondiale di Osaka il servizio di aerotaxi.
Ancora differenziazione con il progetto Hakuto, con la realizzazione di un rover destinato alla luna. Rover che però è andato distrutto nell’aprile scorso, quando la navicella che lo trasportava si è schiantata sulla luna.
Infine gli accordi con la start-up africana Moove Africa BV, per finanziare la motorizzazione in Africa delle imprese individuali e le attività di mobilità relative alla fornitura di servizi.
E se fra un anno il Parlamento Europeo dovesse ripensarci? “Ci speriamo un po’ tutti - risponde pronto Nalli -; anche se ormai siamo andati molto avanti con la conversione industriale sui nuovi modelli”.
Link copiato