Ci addentriamo in speculazioni sulle future tecnologie che potranno cambiare il mondo delle due ruote. Le nostre ipotesi e si fondano sulla necessità di cercare due cose: leggerezza ed ecosostenibilità
Le materia plastiche sono croce e delizia del moderno progettista: da un lato si fanno apprezzare perchè assicurano leggerezza ed ottime economie di scala, dall’altro cozzano con le attuali linee guida che seguono lo sviluppo di nuovi modelli, con sempre più attenzione ad una forte riduzione delle emissioni di CO2 nonchè alla gestione e tracciabilità del fine vita di ogni singolo componente di un veicolo
Le plastiche comunemente intese sono poco “etiche”, perchè derivate dal petrolio e quindi con una impronta carbonica non trascurabile che rende meno virtuosi la produzione ed il riciclo, inoltre, dal punto di vista prettamente tecnico, la plastica ha il pregio ma anche il difetto di essere molto flessibile, con tutti i limiti che ne conseguono per una sua diffusione come componente strutturale. Su un veicolo moderno, tante staffe e supporti sono realizzati in metallo, ma poter utilizzare una plastica sufficientemente rigida significherebbe un risparmio significativo di peso che si tradurrebbe in maggiori prestazioni, minore consumo e minori emissioni.
Al momento questo non avviene perchè non si riesce ad ottenere la necessaria rigidita?, e l’unica alternativa al metallo è la fibra di carbonio impregnata con resine epossidiche, ma con costi di certo non equiparabili.
Questo lo stato della plastica ad oggi, ma questi scenari non sono scolpiti nella pietra, sono anzi in continua evoluzione: ad esempio il riciclo diventa sempre più efficiente, inoltre si stanno ottenendo ottimi risultati nell’utilizzo congiunto con la fibra di carbonio che non viene più manipolata con tecniche artigianali, ma sta entrando nel ciclo dello stampaggio della plastica. Ma il percorso che pare più promettente, e nell’ultimo decennio ha registrato molti passi in avanti, riguarda il settore delle cosiddette bioplastiche.
E' un termine che racchiude almeno tre diverse sottocategorie: le plastiche derivate da materie prime di natura petrolchimica ma biodegradabili, le plastiche derivate da biomasse non biodegradabili ma riciclabili, e le plastiche derivate da biomasse e biodegradabili. Soprattutto la seconda e la terza categoria interessano perchè garantiscono una significativa riduzione delle emissioni di gas serra e del consumo di energia non rinnovabile.
Le bioplastiche derivano da varie materie prime o biomasse, ad esempio rifiuti alimentari, canna da zucchero, olio vegetale, colture di amido e barbabietole da zucchero; l’aggiunta di agenti rinforzanti, come fibra lignocellulosica e amido, ne hanno migliorato le caratteristiche al punto che con “dosaggi” ottimali le proprietà meccaniche e termiche, comprese la permeabilità all’acqua e la rigidità, raggiungono i livelli una plastica convenzionale, per poi diventare addirittura elementi strutturali nel momento in cui si inizia ad utilizzare come rinforzo la fibra di carbonio.
E'ovvio che la strada è in salita, anche perchè le sostanze organiche intrinsecamente biodegradabili, se sottoposte a modifiche chimiche o miscelazione con componenti non biodegradabili, possono perdere questa potenzialità a dispetto della loro origine. Ma il concetto che deve passare è che la tecnologia sta facendo passi avanti nel rendere disponibile e a buon mercato una matrice plastica ecosostenibile che può essere la base di manufatti impiegabili in tantissimi campi.
Ad esempio, già da qualche anno si stanno ottenendo risultati interessanti nel settore del “morbido”, plastiche destinate all’imballaggio o all’alimentare per le quali si stanno studiando applicazioni nell’automotive fino ad arrivare, si spera, a pneumatici “green” fatti con bioplastica e gomma naturale, ma questo tema merita un approfondimento a parte. Più recenti poi sono i progressi nel “duro”, ovvero nelle applicazioni strutturali: massima attenzione è riservata all’utilizzo della plastica al posto del metallo per la realizzazione dei “case” cioè i contenitori delle batterie che devono garantire stringenti caratteristiche di resistenza agli urti; addirittura c’è chi sta sperimentando questi nuovi materiali nel settore della telaistica, realizzando monoliti con bioplastica rinforzata con fibra di carbonio riciclata.
In proposito citiamo l’intervento durante il Congresso delle Materie Plastiche dello scorso novembre a Milano, del colosso della chimica Levhoss che, in collaborazione con le società Isoco Bikes e V-Frames, ha sviluppato una gamma di compound termoplastici ad alte prestazioni per la realizzazione di telai e componenti stampati a iniezione per le biciclette elettriche, guarda caso utilizzando materiali bio-based rinforzati con fibre lunghe di carbonio, fibre di carbonio corte ed un mix anche più economico di fibre di carbonio e fibre di vetro.
I risultati ottenuti paiono di estremo interesse, al punto da pianificare nel giro di tre anni il passaggio dallo stato prototipale a quello della produzione di massa in un settore molto affine, come peculiarità ed esigenze, a quello del motociclo. Non c’è una rivoluzione alle porte, ma una opportunità che da più parti viene giudicata interessante e che, a fronte di investimenti adeguati, potrà portare tangibili benefici.
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