Primavera 125: storia di una Vespa rossa che... rossa non poteva essere

Primavera 125: storia di una Vespa rossa che... rossa non poteva essere

La coinvolgente storia di una Vespa. Voluta, cercata, amata, coccolata. Compagna di mille avventure prima di una lunga sosta. Poi la rinascita… anzi no! Accidenti

Laura Cattaneo

30.08.2024 ( Aggiornata il 30.08.2024 11:24 )

Arrivò a casa un pomeriggio di metà anni ’80, accolta da una classica famiglia formata da mamma, papà e tre figli in età variabile tra i 12 e i 20 anni. Lei era destinata al figlio di mezzo, un ragazzo più o meno sedicenne che la bramava da tempo. E quant’era bella: bianca come la neve, la sellona nera, la scritta “Vespa” davanti e l’altra, “125 Primavera”, sopra la targa. Il ragazzo ci zompò sopra all’istante e sparì tra le strade varesine.

Sopra quella Vespa accaddero un miliardo di cose...

... Alcune delle quali si possono dire e altre invece no, e infatti non ne parleremo. Insieme caddero e insieme si rialzarono, insieme fuggirono e insieme tornarono, insieme piansero e insieme gioirono, in una simbiosi pressoché totale. Lei gli insegnò ad andare in moto, lui le insegnò a superare i suoi limiti. Lei gli insegnò a impennare e lui a derapare, lei gli aprì la strada verso la grande passione per le due ruote e poi lo guardò allontanarsi materna, consapevole che il suo momento era quasi finito.
Lo capì quando la sorellina, che aveva cominciato ad usarla senza chiedergli il permesso, fu beccata dal fratellone in pieno furto e lui non disse altro che: “Stai attenta, mi raccomando, che frena pochissimo”.

Gli anni passarono e la Vespa se ne rimase in garage a vedere i ragazzi diventare sempre più grandi, come un’amica dimenticata. Accanto a lei cominciarono a comparire moto e macchine, così veniva spostata sempre più in fondo, a far spazio alle nuove passioni familiari. Quando i ragazzi si trasferirono nella grande città visse un nuovo momento di gloria: la sua maneggevolezza era perfetta per intrufolarsi nel traffico e i due fratelli, che vivevano insieme, la usavano con rinnovata allegria. Un amico che aveva una carrozzeria gliela colorò di un bellissimo rosso, e lei tornò ad essere splendida, forse più di prima.
Lei ancora non lo sapeva, ma stava per diventare un oggetto di culto.
Si beava di meravigliose cavalcate al tramonto, sorrideva felice insieme ai nuovi amici che i ragazzi avevano in città quando tutti insieme andavano fuori porta, lei unica Vespa in un nugolo di moto grandi e grosse che le facevano da scorta. Fu una vera rinascita, e quel suo colore rosso fuoco, che mai una Vespa della sua epoca aveva indossato, la faceva sembrare una diva.

Il ritorno a casa della Vespa

Dopo quella stupenda seconda vita se ne tornò a casa, là dove tutto era iniziato. I ragazzi erano troppo grandi per le gite fuori porta in moto, ormai avevano la loro famiglia e lei sembrava uno di quei cagnoni vecchi e un po’ decrepiti a cui tutti vogliono un bene dell’anima, che se ne stanno sdraiati buoni buoni a cuccia ad aspettare una coccola che non arriva. La coccola finalmente arrivò quando qualcuno decise che era tornato il momento di rimetterla in moto. Tanti, tantissimi anni erano passati dal suo ultimo giretto, ma l’amore di quel qualcuno – e le mani esperte di un bravo meccanico – la fece ripartire. Fu per un dettaglio formale che la povera Vespa dovette tornare alla sua cuccia: quel meraviglioso rosso, che mai nessuna Vespa di quell’anno aveva indossato, fu l’impedimento al suo ritorno in strada.
E così finì la faccenda della Vespa rossa che rossa non poteva essere, in questo nostro strano e talvolta assurdo Paese in cui contano più le carte delle storie.

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