Un ciclomotore? No, una vera e propria moto per i quattordicenni, con generose dimensioni e soluzioni tecniche di qualità nata sull'onda del successo della celebre 125
Nella produzione Cagiva del periodo mancava un cinquanta stradale d'impatto, in grado di interessare il pubblico di quattordicenni, ed al Salone di Milano '91 fra lo stupore dei visitatori e di tutti gli addetti ai lavori, è stato presentato il Prima 50. Lo stupore, non a caso, sottolineava l'effettiva novità e l'elevata tecnologia proposta anche nel settore dei ciclomotori, al periodo molto fervido, e considerati fino a qualche anno prima solo un mezzo di locomozione alternativo senza alcuna velleità in fatto di estetica e di raffinatezza tecnica.
Il Prima 50 è invece caratterizzato da un look estremamente aggressivo, ad immagine e somiglianza della "bomba" guidata nel Mondiale 500 GP da Eddie Lawson, e da soluzioni tecniche validissime sia per quanto riguarda la sicurezza di marcia sia per la funzionalità. Ottimamente strutturato, il cinquantino sportivo di Varese ovvia al problema casco in caso di sosta con un capiente vano ricavato sotto il finto serbatoio (quello vero si trova sotto la sella) reso oltremodo sicuro da una serratura azionata dalla chiave d'avviamento. Completamente carenato e dotato di tutti gli accessori che normalmente equipaggiano le maxi-sportive, il Prima viene prodotto in due versioni cromatiche: rosso Cagiva e con i colori Lucky Explorer con tanto di tabelle portanumero nella parte terminale del codino. Il prezzo dello sportivissimo cinquanta Cagiva era di 4.100.000 lire (circa 2.000 euro).
Il Prima era un ciclomotore (a norma di Codice, ma aveva tutto per essere una piccola moto) dall'aspetto grintoso ed importante che dimostrava più dei suoi 50 cc; la carenatura in linea con le moto più sportive vestiva in forma integrale, abbracciando il finto serbatoio con funzione di portaoggetti, raccordandolo alla perfezione con la parte posteriore caratterizzata da un profilatissimo codino.
Il cupolino in cui era inserito un grintosissimo doppio faro, era arricchito da un ampio plexiglass trasparente. Le finiture nonostante si trattasse di un cinquantino erano di ottimo livello, infatti molti particolari come i cerchi, i foderi della forcella ed il silenziatore venivano abbelliti con vernici particolarmente lucide.
La strumentazione di derivazione sportiva contava su su due strumenti principali, contagiri e tachimetro, sono di differente diametro, il primo più grande è posto al centro della plancia mentre il secondo, meno importante ai fini dell'utilizzo, vanta dimensioni minori e si trova alla sua destra. Le spie segnalano: la mancanza di olio nel miscelatore, il folle, gli indicatori di direzione e le luci anabbaglianti.
REWIND, CAGIVA FRECCIA C9: DRITTA AL CUORE
La struttura della ciclistica è composta da un finissimo telaio bitrave in tubi a sezione prismatica con forcellone oscillante coadiuvato da un monoammortizzatore ad azione progressiva, Soft Damp, provvisto anche di regolazione della molla tramite il precarico meccanico ed in grado di garantire una corsa ruota di 120 mm. Anteriormente troviamo una splendida forcella upside-down costruita dalla Marzocchi, con steli da 32 mm Ø e con un'escursione di 120 mm. Molto potente ed ottimamente dimensionato l'impianto frenante con dischi forati ed alleggeriti su entrambe le ruote. Quello anteriore ha un diametro di ben 260 mm mentre quello posteriore di 220 mm. I pneumatici avevano misure 90/90-16" e 120/80-16".
Interamente nascosto dalla carena il propulsore era un evoluto due tempi a corsa corta di 49,8 cc raffreddato ad acqua. Aspirazione lamellare direttamente nel basamento e l'alimentazione poggiava su un carburatore Dell'Orto SHA 14/12 e miscelazione automatica.
Gira pagina per leggere la nostra prova su InMoto del 1992:
1 di 2
AvantiLink copiato