Una categoria che è lo specchio dei tempi? Pare proprio di sì... Archiviate le sfide Rossi-Marquez, il politicamente corretto e il marketing si sono impadroniti del mondo delle competizioni costringendo le emozioni in un angolo
Lo sport senza tifo è un concetto difficile da immaginare. Da che mondo è mondo, il pubblico si schiera, trova i propri eroi, si immedesima, partecipa in modo viscerale alle disgrazie (o ai successi) del proprio beniamino. Che sia la nazionale di calcio, la squadra della propria città, l'atleta che ci rappresenta alle Olimpiadi, siamo lì, con le bandiere in mano (molto spesso ideali) ad urlare ed incitare. A maledire gli avversari. E quando lo scontro si infiamma, quando l'asticella viene alzata a limiti impensabili fino a pochi attimi prima... il tifoso si esalta. Il mondo ne parla, il palcoscenico su cui va in scena lo spettacolo trova eco ovunque.
Ragionavo su questi concetti mentre guardavo la gara della MotoGP sulla pista thailandese di Buriram. La massima serie del motociclismo è il non plus ultra della tecnologia applicata alle due ruote, vi corrono i piloti più forti del mondo. Le gare sono tirare al millesimo e spesso la differenza tra la vittoria e un onorevole piazzamento è una questione di pochi decimi al giro. Eppure non emoziona più. O meglio, non emoziona più come un tempo. Le motivazioni?
La massima serie si è ingessata in riti studiati per enfatizzare il business... e questo è comprensibile. Poi c'è il mezzo, la moto, sempre più importante al fine del raggiungimento del risultato. Ma – diciamocelo senza giri di parole – quello che limita maggiormente lo spettacolo è il buonismo diffuso tra i piloti. Sono tutti amici, pacche sulle spalle a fine gara, abbracci, calorose strette di mano. Tutto bello, sì, molto educato, sportivo, politicamente corretto. Ma poco emozionante.
Questa tendenza è in atto da un paio d'anni, da quando l'ultimo dei Mohicani ha appeso il casco al chiodo (Valentino Rossi) e il suo rivale si è fatto davvero male (Marc Marquez). Il loro fu l'ultimo vero duello della MotoGP: in pista e fuori. Il buonismo e lo sport vennero stritolati in una rivalità al calor bianco. Di quelle che lasciano il segno. E di cui gli appassionati portano ancora il ricordo vivo. Rossi era un "genio del male" (in senso benevolo ovviamente). Sapeva gestire le situazioni, creare ad arte tensione e stritolare gli avversari ancora prima di mettere la tuta. La sua carriera, lunghissima, è costellata di duelli; Gibernau, Biaggi, Stoner... Ma anche prima dell'avvento dell'italiano le rivalità "cattive" sono state tante. Anche nelle classi minori e nelle derivate di serie.
Oggi sembrano prevalere le logiche di marketing che si traducono in una gestione ingessata dei piloti, soprattutto in MotoGP, il campionato più seguito e più ricco. La Ducati domina con una moto fenomenale guidata da metà schieramento. Quartararo resiste con una M1 che fa quello che può. Esattamente come il buon Espargaró con l'Aprilia . Situazioni diverse ma con una costante... tutti si vogliono bene, sono simpaticamente amici. Meno male che Marquez sta tornando con la sua voglia, il suo talento, e il suo modo di guidare sopra le righe. Che piaccia o no, che sia simpatico o meno, è quello che manca al Mondiale in questo momento. Uno che porti scompiglio in una classe troppo ordinata, troppo ubbidiente, troppo silenziosa. Specialmente gli alunni seduti in prima fila, quelli che vestono in rosso, ben ammaestrati dalla dirigenza bolognese.
Dai ragazzi, fateci sognare. Abbiamo bisogno di gladiatori, non di ragazzini troppo educati.
MOTOGP, POLEMICHE PER LA SPRINT RACE: ESISTONO ALTRE SOLUZIONI (PIÙ O MENO)
Link copiato