Una sportiva stradale che ha messo le basi per la rinascita del marchio Yamaha, e una delle principali protagoniste degli anni '80. Con la FZ il passo in avanti è stato importante, anche se non era una moto perfetta
Possiamo considerare la prima metà degli anni '80 come un periodo di transizione, in cui la sportività su due ruote stava affrontando un cambio d'identità e in Europa le moto italiane ed inglesi - tutte in profonda crisi - stavano lasciando terreno fertile alle nuove concorrenti giapponesi. Con l'opportunità di stupire, Yamaha stava lanciando l'offensiva alla miglior produzione europea nel 1985, mettendo in listino la moto che ha stupito il Salone di Colonia l'anno precedente: la FZ750.
Il 1985 è stato un anno fondamentale nel trittico che dal 1983 al 1986 ha cambiato il modo di concepire la moto sportiva carenata. Con la GPZ 900 R già presentata e le Ducati Paso e Honda VFR 750 F a un passo dall'entrata sul mercato, gli occhi erano tutti puntati su Yamaha e Suzuki , che con le loro FZ750 e GSX-R 750 avevano lasciato tutti a bocca aperta.
La FZ, soprattutto, aveva un fascino particolare che la metteva a metà fra una supersportiva solo pista e una stradale ad alte prestazioni. Diversa dall'attitudine "full speed" della GSX-R, la settemmezzo di Yamaha sembrava ideale anche per fare turismo e aveva delle forme sinuosissime. Il cupolino con faro rettangolare (non quadrato o tondo, una novità per quegli anni) accompagnava la vista su una fiancata armonica e un ottimo raccordo fra la semicarena, il serbatoio e il codino, con una line che sfilava verso l'alto e le dava dinamicità anche da ferma.
Uno stile così ce lo saremmo aspettato da un'italiana, non certo da una giapponese, e il risultato è stato molto apprezzato qui da noi, tanto che l'abbiamo vista pure al cinema con Carlo Verdone nel film Troppo Forte. Le scene di lui in sella e la gara con Er Murena ("se giocamo la moto"), sono un cult del cinema e della cultura pop.
Il confronto con la GSX-R era obbligato non solo perchè uscite nello stesso periodo, ma perchè a livello prestazionale erano praticamente alla pari. La Yamaha la spuntava di pochissimo su velocità massima (236 km/h contro 234) e sul quarto di miglio (11,1 secondi contro 11,6), ma sul giro secco in pista era la Suzuki la migliore. Il terreno dove Yamaha dominava - non solo su Suzuki ma in generale sulle concorrenti 750-900 - era la guidabilità su strada. Il suo quadricilindrico 20 valvole era trattabilissimo, morbido e coppioso in basso ed esuberante agli alti. La ciclistica con il telaio doppia culla a travi rettangolari non era troppo rigida e permetteva di godere della corposità del propulsore anche ad andature umane.
Le prestazioni erano esagerate per l'epoca, e comunque molto buone se le guardiamo quasi 40 anni dopo: potenza massima 100 CV a 10.500 g/min, con una coppia di 8 kgm a 8000 g/min e un peso a secco di 209 kg. Non una piuma, ma per le dimensioni abbondanti del mezzo e per i materiali dell'epoca, era un bel risultato. Le ruote di sezione 110 all'anteriore (16") e 130 al posteriore (18") non sono paragonabili a quelle moderne, eppure le permettevano di sfiorare i 240 all'ora.
ALLA PAGINA SEGUENTE LA NOSTRA PROVA DEL 1985
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