Prova Indian Challenger RR: che americanata!

Prova Indian Challenger RR: che americanata!

Abbiamo provato una delle due protagoniste del MotoAmerica "King of the Baggers", tanto tozza, goffa e esagerata quanto affascinante. Un'esperienza surreale

Alan Cathcart

28.07.2023 09:24

Cosa trasmette la Indian Challenger RR appena la provi 

Ho trascorso i primi due dei miei preziosi cinque giri in sella alla RaceBagger cercando di venire a patti con la curiosa posizione di guida e con quella enorme quantità di coppia. Il massimo lo esprime a circa 5.500 giri, ma volendo ci si può spingere fino al limitatore posto a 7.700 giri. Nonostante l’acceleratore RBW, l’ECU Maxx interviene con un taglio netto e deciso, fermando parecchio la moto a ogni manata di gas troppo decisa. Questo inizialmente mi ha fatto pensare di guidarla utilizzando la parte bassa del contagiri, ma mentre lo facevo ho scoperto che, mantenendo il motore sotto i 5.500 giri, compare un evidente sottosterzo, che tra l’altro è piuttosto faticoso da combattere a causa delle incredibili misure della moto (peso, interasse, ecc.).
Al terzo dei cinque giri ho quindi cambiato strategia: ho tenuto una marcia più bassa e fatto girare in alto il motore PowerPlus. Bingo! La monster bike a passo lungo non si trasforma certo in un’agile principessa, ma riesce a percorrere una traiettoria decisamente più stretta permettendomi di rimanere accelerato più a lungo.
Ci sono due spie del cambio: una gialla a 6.900 giri e un’ultima di avvertenza, rossa, 500 giri dopo. L’unico aspetto negativo è che più forte si fa girare il motore, più le vibrazioni aumentano, non in modo incontrollato (soprattutto in un turno di 10-15 minuti), ma sono comunque evidenti. Per regolamento i team non possono modificare l’albero di bilanciamento, e quello di serie ovviamente non è dimensionato per gestire valori di coppia e potenza così alti (senza contare la significativa riduzione delle inerzie).

Considerazione post-test

Ovviamente non posso dire di aver sfruttato tutte le capacità dell’Indian Bagger nei miseri cinque giri concessimi, ma le caratteristiche principali della sua guida sono evidenti fin da subito. In primo luogo, anche con gomme da gara, il telaio adora dimenarsi sotto l’incredibile dose di coppia e potenza; fortuna che l’ammortizzatore di sterzo è facilmente accessibile. Ammettiamolo, questa moto non èstata progettata per correre, ma il fatto che si muova da tutte le parti quando si accelera è uno dei motivi per cui è divenuto così famoso e rinomato il King of the Baggers. Queste moto sembrano proprio una figata da guidare e lo sono davvero!
In secondo luogo, sebbene ci sia una certa distanza tra pilota e avantreno, l’Indian è piuttosto agile nei cambi di direzione, ben più di quanto una moto così lunga abbia il diritto di fare. Non la definirei esattamente agile, ma si è comunque dimostrata abile nell’affrontare la chicane cieca sinistra-destra in cima alla collina di Chuckwalla in seconda marcia, con il motore a poco meno di 7.000 giri. Affrontare la chicane in terza e utilizzare più la coppia che la potenza non ha dato i suoi frutti, dato che è comparso il sottosterzo di cui parlavo prima.

La frenata non si porta fino al punto di corda: "Meglio farla correre!"

Anche per quanto riguarda il fermarsi, l’Indian SuperBagger si difende bene, soprattutto dalle alte velocità – ancora una volta, incredibilmente, visto quanto è pesante. I grossi dischi anteriori Alpha Racing di 320 mm di fabbricazione tedesca e le pinze radiali Brembo Stylema 4P fermano inaspettatamente bene questo monolite, ma soltanto se: a) si utilizza anche il disco posteriore EBC di 10,5 pollici (268 mm) con la sua pinza Hayes a quattro pistoncini; b) si sfrutta la notevole quantità di freno motore (nonostante la frizione antisaltellamento); c) non si porta la frenata fino al punto di corda, pratica che la Challenger non digerisce con facilità. "Credo che il motivo sia perché abbiamo già un sacco di grip al posteriore. Se dai tanto carico anche all’avantreno la moto si contorce su sè stessa, perché dietro “spinge” e davanti è frenata. Meglio farla correre. Dover adattare il tuo stile alla guida di questa moto è diverso da qualsiasi altra cosa e ti troverai fuori dalla tua zona di comfort. Devi frenare il più possibile a moto dritta, non come ho fatto l’anno scorso alla prima curva di Daytona, dove a momenti mi stendo proprio al primo giro! Alla fine quella gara l’ho vinta, ma lì ho capito che non gradisce essere guidata portando tanto freno in curva. E l’hai capito anche tu, mi sembra!". Queste le parole di Jeremy.

Conclusioni

In effetti sì, si intuisce abbastanza in fretta, e anche in una misera sessione di pochi giri ho capito che questa fantastica moto continuava a farmi nuove domande, ad alcune delle quali ho risposto adattando la mia guida.
Spero di avere la possibilità di conoscerla meglio, ma nel frattempo una cosa è certa: chiunque guiderà una di queste moto – Harley o Indian – è un eroe assoluto, e il livello di abilità e coraggio richiesti per vincere una gara del genere non sono affatto banali. Massimo rispetto!

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