La mano sinistra aziona la frizione, il piede dello stesso lato è quello della leva del cambio. Entrambi sono stati pensionati dalla trasmissione DCT della
Honda che a breve sarà allargata anche alle sportive da strada e fuoristrada. Un test di 600 km con cinque modelli a disposizione
600 km in Irlanda ad una media oraria da circuito del Mugello guidando l’attuale produzione Honda in vendita in Italia con la trasmissione a doppia frizione, la DCT. Le moto le riconoscete subito, a loro manca la leva della frizione e la leva del cambio, che in effetti potrebbero ancora avere perché la Honda produce un accessorio “propedeutico” (poco proposto dai concessionari), una leva del cambio che però agisce anch’essa sulla centralina, come i pulsanti che trovate al manubrio, e non meccanicamente come avviene normalmente. Nel nostro caso, a sinistra il pulsante col + azionato tramite l’indice inserisce la marcia più alta, con il pollice il tasto – invece vi fa scalare; nel blocchetto di destra al manubrio una slitta fa passare dalla modalità automatica Drive, per la guida “normale”, alla Sport, sempre totalmente automatica, ma con le cambiate che avvengono ad un regime più alto, mentre sullo stesso blocchetto si trova il comando per passare in “manuale”. Questa modalità vi farà azionare il cambio a piacimento con i pulsantini, tranne impedire di ingranare marce che risultano troppo corte o troppo lunghe per la velocità che state tenendo. Completa un manubrio affollato in modo insolito una piastra per il freno a mano, come per gli scooter, necessario in quanto la trasmissione quando è a motore spento resta in folle. Dopo aver provato tutte le soluzioni possibili, sono giunto alla conclusione che lasciare la DCT in modalità automatica e riservarsi il gusto di qualche scalata più allegra con il pulsante, oppure una salita di marcia più rapida in uscita di curva per arrivare prima ad un regime più rilassato, rappresenti il compromesso migliore. Questo è possibile senza mettere in manuale. E dopo aver percorso mezza Irlanda del sud est, con pochi rettilinei e scarso traffico, quindi ampia possibilità di scegliere l’andatura preferita, se pure disturbati dall’effetto visivo ribaltato come “allo specchio” a causa della circolazione a sinistra, che rende le traiettorie meno intuibili, è una regola che si può applicare ai cinque modelli del test.
Con il motore V4, della partita erano la Crosstourer e la VFR 1200 F, mentre con il V2 700 l’Integra, la NC 700 S e la NC 700 X. I modelli 1200 ne hanno talmente tanto, tra potenza e coppia, che basterebbe la metà delle marce, e qualche volta volutamente messa la trasmissione in manuale e lasciata la marcia più lunga, le riprese venivano ugualmente gustose. Salvo che qui si stava in moto esattamente per il motivo opposto, far lavorare il cambio. La DCT, o il DCT che dir si voglia, arriva in Italia proprio con la VFR 1200 F nel 2010, a completare una granturismo innovativa nel design e nella meccanica. La Crosstourer non è da meno come macinatrice di chilometri ad alta velocità, con vista dal piano rialzato. La gamma delle 700 per tenere il passo dell’allegra brigata ha avuto il suo bel da fare, ma ci sono riuscite con la volenterosa cooperazione dell’equilibrato insieme motore-ciclistica. Se pure come si sa la base è comune, ha fatto più scalpore l’Integra con il suo aspetto da maxiscooter nel riuscire a non farsi distanziare, mentre la naked S e la crossover X si sono fatte decisamente apprezzare per essere così discrete ma molto efficaci e redditizie, con la NC 700 X che ha rappresentato la moto più a suo agio in ogni condizione. Abbinata al motore 700, la trasmissione DCT dà il meglio, facendo in modo che si resti sempre nel limitato numero di giri a disposizione, proprio dove si può trarre la massima prestazione dal propulsore. Anche se nata per intenzioni sportiveggianti, sulle 700 questa trasmissione fa capire immediatamente i vantaggi che offre. E se ogni tanto si vuole “personalizzare” la marcia inserita basta un colpo sui pulsanti.
La seconda generazione della DCT però, per quanto si possa stare certi che ce ne sarà anche una terza, ha un software che sceglie sempre la marcia giusta, ha eliminato comportamenti spiacevoli nelle manovre al rallentatore, con qualche trascinamento imprevedibile, o cambiando rapporto in curva nella fase in cui la manetta è chiusa, oppure costante, ma non si vuole rinunciare al tiro della marcia con cui si è entrati in piega. Come scrivevo un mese fa nell’editoriale, ero molto scettico sul fatto che una moto che decide da sola la marcia del cambio potesse incontrare i miei gusti. In terra d’Irlanda al secondo giorno di guida mi sono arreso all’evidenza che col DCT si può convivere piacevolmente. Ma è stato una volta a casa, alla guida di una moto col cambio tradizionale, che ho capito quanto possa diventare all’improvviso superlfua tutta la liturgia a cui siamo da sempre legati, dalla cambiata senza usare la frizione, semplicemente accostando il gas, alla sfrizionata di puro piacere, quella solo per sentire i giri che salgono pure se non ce ne sarebbe bisogno. Certo, “eticamente” mi pongo il problema dal vago sapore conservatore del “dove andremo a finire”. Dopo che si sarà persa la sensibilità in frenata grazie all’ABS che si preoccupa per noi di non bloccare le ruote, dopo che il Traction Control si sarà preso la briga di sollevarci dal sapiente dosare la manetta in condizioni di scarsa aderenza, nell’era in cui il Ride by Wire ha permesso di cambiare carattere al motore scegliendo con un pulsantino la mappatura più consona a come ci gira l’umore al momento, ora che si diffondo le sospensioni che si regolano da sole togliendoci la manualità e il gusto di agire su freni idraulici e precarichi delle molle, ecco che l’ennesimo software si arroga il diritto di cambiare marcia al nostro posto. Chissà se i Campioni di oggi saprebbero partire a spinta mettendo in moto un Norton Manx una volta saltati di traverso sulla sella, chissà se ci troveremo tra vent’anni a piroettare con le auto a cambio automatico, come si vede sulle pellicole americane, al più piccolo imprevisto si pari davanti, totalmente inetti ad agire sui comandi elettronici che ormai ci hanno sostituito. Oggi ho ancora solo una certezza, che le resistenze a rassegnarsi alla moto col cambio automatico saranno enormi, ci vorrà forse un ricambio generazionale completo prima che il motociclista italiano accetti la novità, ammesso che il marketing che deve trovare la strada di vendere il prodotto, decida che non vale la pena insistere almeno su certi mercati con questa innovazione. Viviamo anni di rapidi e profondi cambiamenti, DCT è uno di questi. Ho constatato però che, come ci si aspetta da Honda, il meccanismo va talmente bene che quando si torma indietro la prima volta sulla moto con tutte le leve a posto ci si chiede: perché dovrei stare qui a tirare, mettere e togliere? Se lo sono chiesti in molti in giro per il mondo motociclistico, e si sono anche dati una risposta, scegliendo i motori con DCT per il 24% di tutte le VFR vendute, quasi il 50% per la NC 700 X e addirittura il 70% di Crosstourer.
DA FERMO
Dual Clutch Transmission vuol dire trasmissione a doppia frizione, una soluzione che in Honda studiano dal 2005 e presentata nel 2010. Una frizione è collegata alle marce 1,3 e 5, e nel caso dei motori 1200 questa è anche più robusta dell’altra, quella che si occupa delle marce 2 e 4. La centralina gestisce i passaggi di marcia in base a vari parametri, che devono discernere in quale fase della guida si è in ogni momento. Per non fare la cosa sbagliata, come infilare il rapporto superiore mentre si è a gas costante o chiuso a centro curva, tanto per fare l’esempio che più dà fastidio nei cambi automatici che non sono adeguatamente studiati. A parte la mancanza delle leve dal lato sinistro, i motori con DCT si dichiarano a prima vista per una maggiore sporgenza sul lato destro dovuta alla doppia frizione. L’idea di DCT nasce per un uso sportivo automobilistico negli anni ’80, non in casa Honda, ma oggi i tecnici del settore auto del marchio dell’ala si stanno applicando per adattare la DCT motociclistica alle loro quattroruote. Dove non dovrà essere studiata una funzione “impennata”, l’unica emozione di cui i più smanettoni avvertiranno la mancanza. Ma che con la terza generazione di DCT magari arriverà.