        Ultimamente si parla cos&igrave; tanto di adventouring, da aver dedicato un intero numero di InMoto (8/2024) su questo tema, che &egrave; soltanto l'ultima moda di un modo di vivere la motocicletta che esiste dagli anni '80, quando la Parigi Dakar &egrave; diventata popolare e sempre pi&ugrave; persone hanno scelto di girare il mondo su due ruote e ha dato i natali a fenomeni indimenticati come le enduro dual e la BMW GS. Alla fine, quest'adventouring non &egrave; altro che turismo in moto dove l'asfalto finisce, quindi cavalcare con piglio esplorativo senza guardare il cronometro e senza competere con altri, ma per il puro gusto di abbracciare la natura selvaggia e divertirsi guidando su terreni impegnativi. Per iniziare con quest'attivit&agrave; non serve avere l'ultimo ritrovato tecnologico a due ruote e nemmeno grandi budget, ma una moto abbastanza comoda e ciclisticamente valida per poter andare un po' ovunque. Vi diamo cinque consigli che sono fra i pi&ugrave; economici in assoluto, per una minima spesa che possa garantire il massimo divertimento. Aprilia Pegaso 600/650 La prima Pegaso "grossa" &egrave; anche una delle pi&ugrave; interessanti per iniziare a battere le strade sterrate. Perch&egrave;? senza dubbio perch&egrave; l'impostazione da endurona dual con cerchi da 19/17 offre un primo approccio alla guida efficiente in fuoristrada e il peso non eccessivo &egrave; di grande aiuto per chi fa i primi passi in questo mondo. Oltretutto, in ottica turismo, offre un'ottima abitabilit&agrave;, una discreta protezione per petto e gambe e la possibilit&agrave; di andare sia in due senza troppi sacrifici che montare borse morbide e il borsone da sella impermeabile per viaggiare ovunque. Pregi? Il suo motore monocilindrico Rotax non &egrave; potentissimo ma &egrave; eterno! Difetti? I ricambi sono un po' difficili da trovare come accade un po' per tutte le Aprilia di quegli anni. La trovate usata a prezzi ridicoli, principalmente tra i 1.000 e 2.000 euro.  &nbsp; BMW F 650 GS Prima o seconda serie, porta la gloriosa sigla GS sul serbatoio ed &egrave; una globetrotter che si &egrave; fatta amare negli anni da una enorme folla di appassionati. L'abbiamo vista sia alla Parigi Dakar che nelle spedizioni internazionali in giro per il mondo e la sua versatilit&agrave; &egrave; garantita da una guida equilibrata e facile unita alla robustezza del motore Rotax, un'unit&agrave; molto simile a quella della Pegaso descritta in questo articolo. Pregi? &Egrave; un'ottima stradale che con due modifichine si trasforma in un'ottima offroader, e pu&ograve; montare valigie rigide che per viaggiare sono sempre un plus. Difetti? Dal restyling della seconda serie ha inizato a montare motori Loncin, meno affidabili dei cari vecchi Rotax, quindi &egrave; preferibile una versione pi&ugrave; vecchia di fine anni '90 o primi '00, che potrete trovare ben messa sotto i 3.000 euro  &nbsp; Yamaha XT 600 Una vera enduro dual &egrave; un'ottima opzione per iniziare a fare adventouring. La XT 600 E &egrave; una delle ultime (e pi&ugrave; affidabili) rappresentanti della categoria nata negli anni '80 ed &egrave; possibile trovarla anche a prezzi interessanti sotto i 3.000 euro, a differenza delle sorelle pi&ugrave; "dakariane" T&eacute;n&eacute;r&eacute; 660 dello stesso periodo o Africa Twin di Honda che stanno rapidamente aumentando di valore. Con questa tipologia di moto si entra a tutti gli effetti nel mondo dell'offroad, quindi la parte turistica &egrave; pi&ugrave; sacrificata, ma con i giusti accorgimenti e ottimo spirito d'avventura si possono fare tanti chilometri evitando il pi&ugrave; possibile l'asfalto. Le sue cugine giapponesi degli anni '90 degne di menzione sono Kawasaki KLR, Honda XL e XR e Suzuki DR.  &nbsp; Honda Transalp 600/650 Al pari della F650GS, la Transalp rappresenta una delle icone dell'avventura in sella a cavallo del millennio. La sua storia &egrave; profondamente legata ai grandi raid desertici degli anni '80 e al passato delle enduro dual giapponesi, quindi un heritage da vera viaggiatrice che si concretizza in un corpo moto protettivo, comodo per viaggiare e capace di fare offroad con la gomma anteriore da 21" delle prime tre serie. Pregi? Grande affidabilit&agrave; da parte del motore bicilindrico a V, poco potente ma instancabile, e dell'assemblaggio tipico del prodotto Honda. Si trovano ricambi ovunque nel mondo ed &egrave; possibile caricarla con valigie di tutte le forme e dimensioni. Difetti? Difficile trovarne di importanti, ma in molti lamentano un motore un po' troppo fiacco per il turismo su strada. I prezzi si stanno lentamente alzando perch&egrave; &egrave; di grande interesse, ora ne portate a casa una buona per circa 3.000 euro.  &nbsp; Cagiva Canyon 600 Un jolly di questa Top5 perch&egrave; non rappresenta una scelta fra le pi&ugrave; logiche, e molti appassionati pi&ugrave; giovani nemmeno sanno della sua esistenza. La Canyon &egrave; un modello realizzato negli ultimi anni di vita di Cagiva e si porta dietro qualche difetto che l'ha resa poco popolare e di conseguenza una delle scelte pi&ugrave; economiche che potete trovare nell'usato per quanto riguarda enduro leggero e adventouring.&nbsp; Pregi? Un design affascinante per una moto italiana che ha un fascino speciale, ma anche maneggevolezza ed equilibrio ciclistico indiscutibili. &Egrave; bella da guidare. Difetti? Purtroppo il motore Rotax 500 e 600 di questa moto ha qualche difetto e necessita di manutenzione frequente, e non &egrave; facile trovare i ricambi. Se vi piace l'idea di una moto unica come lei (e non vi spaventa metterci le mani sopra all'occorrenza), la trovate sull'usato a prezzi ridicoli, fra i 1.000 e 2.000 euro.        

Vi piace l'idea del turismo in fuoristrada ma non volete spendere molto? Vi diamo qualche consiglio per iniziare a fare sul serio spendendo il meno possibile

TOP5 usato: iniziare con l'adventouring e con poca spesa

Da Ducati ad Aprilia, passando per Moto Guzzi e Piaggio. I brand italiani si sono sempre distinti nel panorama delle due ruote.  In occasione del compleanno del genio Leonardo da Vinci ricade la Giornata Nazionale del Made in Italy. Ecco, quindi, alcune delle "due ruote" italiane che si sono distinte negli anni e sono rimaste nel cuore degli appassionati

Made in Italy: le moto italiane che hanno fatto la storia

A primo impatto, il nome MV Cagiva pu&ograve; sembrare una crasi dei ben pi&ugrave; noti MV Agusta e Cagiva. In realt&agrave; si tratta di un nuovo marchio che arriva dalla Cina, che nella primavera 2023 ha lanciato sul mercato il suo primo modello, il Crazy Weekend 150 ADV, e presto ci sar&agrave; il debutto della sportiva, la MV Cagiva KJW 700.    I modelli  Diamo prima una rapida occhiata ai modello. Lo scooter Crazy Weekend 150 ADV si ispira chiaramente agli scooter ADV 150 di Honda. Questo 150 (a cui probabilmente seguiranno quelli da 250cc, 300cc&hellip;) &egrave; spinto da un monocilindrico a quattro tempi da 16,5 CV e ha una velocit&agrave; massima di 120 km/h. Non mancano componenti moderne, dal display a colori con connessione allo smartphone alla dashcam (telecamera frontale). In Cina &egrave; gi&agrave; disponibile a poco meno di 2.000 euro.  Per quanto riguarda la sportiva carenata, la KJW 700, MV Cagiva &egrave; al lavoro, anche se non si sa molto. Il candidato pi&ugrave; probabile per il motore sembra il bicilindrico in linea di QJMotor con 73 CV (54 kW), ma le informazioni si fermano qui.    I legami tra le aziende  Quello che ovviamente suona strano &egrave; il nome scelto per il Marchio, che inevitabilmente richiama le due Case italiane. La scelta non risulta affatto chiara, ma alcuni legami ci sono. A fare da collante c&rsquo;&egrave; QJMotor (da cui arrivano i motori), di propriet&agrave; del pi&ugrave; importante produttore cinese di moto, il gruppo Qianjiang, che a sua volta collabora con MV Agusta dal 2020. Se questa partnership coinvolga anche il nuovo MV Cagiva, al momento, non ci &egrave; dato sapere. Ma il nome continua ancora a suonarci davvero molto strano&hellip;  QJ MOTOR SRK 800RR, PRIMA IMMAGINE DELLA NUOVA SPORTIVA 4 CILINDRI 

Appena nato, ha gi&agrave; lanciato sul mercato il suo scooter ed &egrave; al lavoro su una sportiva. Ma cosa rappresenta questo nome?

MV Cagiva, una storia italiana? No, un (discutibile) marchio dalla Cina

S&igrave;, quando i V-twin bolognesi motorizzavano le Cagiva e gli appassionati sognavano le imprese del team Lucky Explorer, le enduro di Schiranna si chiamavano Elefant. Una famiglia di modelli nata inizialmente 350 e 650, poi cresciuta a 750 (fine anni &lsquo;80), le prime con grafiche Lucky Explorer per celebrare la partecipazione alla Dakar, le ultime con le sovrastrutture pi&ugrave; essenziali e la ruota anteriore di 21&rdquo;.  USATO, APRILIA SHIVER 750: BRIVIDI DI PIACERE  Motorizzazione e ciclistica    Dopo, nel 1990, deflagra la 900. Linea tutta nuova, motore 900 a iniezione elettronica e grafica rinnovata per eccitare gli appassionati di rally. Sul mercato la BMW 1000 &egrave; pi&ugrave; grossa, blasonata e diffusa, ma uno dei mille esemplari delle Cagiva Elefant 900 numerate si paga di pi&ugrave;, anche il doppio di una Africa Twin 750. Per prestazioni, ciclistica e componentistica sulla carta non ha rivali e su strada conferma ogni aspettativa. I problemi semmai sono tutti negli standard di produzione e nella qualit&agrave; della componentistica europea del tempo. Anche il pregiatissimo Ohlins ha vita relativamente breve perch&eacute; il rapporto del link &egrave; mal studiato e non ha problemi solo il precarico idraulico della molla, ma pure il separatore interno per un&rsquo;idraulica fin troppo sollecitata. Il motore raffreddato ad aria e olio ha il cilindro posteriore spesso al limite del surriscaldamento, e i pistoni Borgo a volte cedono. La frizione a secco &egrave; poco adatta al fuoristrada e sotto stress accusa qualche strappo, ma uno dei guai pi&ugrave; temuti &egrave; la scromatura dei bilancieri. I residui di cromo durissimo prima di essere intercettati dal filtro olio sono in grado di macinare tutti gli organi interni del motore.  Problemi di componentistica  All&rsquo;epoca i motori Ducati e relativi impianti elettrici erano molto discutibili per affidabilit&agrave; ed efficienza (cronica la scarsa potenza del generatore elettrico), la pompa elettrica e tutta l&rsquo;iniezione avevano qualche limite e tutto sommato la parte pi&ugrave; riuscita era la ciclistica, anche se &egrave; fin troppo facile schiacciare il collettore scarico del cilindro anteriore sotto il motore. Tutti problemi affrontati e quasi sempre risolti col tempo, sia dalla Cagiva (nelle ultime versioni a carburatori) che dai primi possessori (un esemplare sopravvissuto ha sicuramente gi&agrave; ricevuto ampie revisioni). Gli unici veri limiti oggi rimangono la misura un po&rsquo; stretta dei pneumatici e lo svergolamento della forcella a causa del monodisco anteriore. Quest&rsquo;ultimo risolto definitivamente con le ultime versione 900 dotate di forcella Showa rovesciata e doppio Brembo anteriore, oltre all&rsquo;assetto ribassato e un&rsquo;altezza sella pi&ugrave; accessibile. E sono molto pi&ugrave; accessibili anche le quotazioni perch&eacute; le ultime versioni sono decisamente pi&ugrave; abbordabili e svalutate, nonostante affidabilit&agrave; e semplicit&agrave; migliori.    Costo ed esclusivit&agrave;  La 900ie Lucky Explorer costava e costa ancora oggi per la sua esclusivit&agrave; e bellezza. Attenzione, Cagiva ripropose pi&ugrave; volte la grafica ispirata alle sigarette americane. Sono ancora Lucky Explorer nel 1994 e nel &lsquo;95, canto del cigno prima della trasformazione in salsa motard, quando l&rsquo;Elefant muore e nasce la Gran Canyon. Ma l&rsquo;Elefant Lucky Explorer per antonomasia rimane la prima 900. Nella sua nobile longilinearit&agrave; quella 900 iniziale in versione alta (sospensioni a lunga escursione) monta ancora un Ducati a 5 rapporti e valvole grosse (testate delle prime Monster e Supersport), che verr&agrave; subito sostituito nella successiva Elefant 900ie GT (1991) con un 900 pi&ugrave; morbido a sei rapporti e valvole pi&ugrave; piccole. Su In Moto n. 10 del 1990 nel confronto con la BMW GS 100 ne usciva eccezionalmente vittoriosa, non solo per la velocit&agrave; effettiva di 190 orari (contro i 180 della GS), dei consumi nettamente inferiori, frenata-ripresa-accelerazione migliori. Anche se poi il mercato ha premiato ben diversamente tradizione e &ldquo;peso&rdquo; del marchio BMW, l&rsquo;elefante della Cagiva era avanti. I primi accenti nell&rsquo;articolo erano posti sulla modernit&agrave; di due importanti soluzioni &ndash; iniezione elettronica e ruota anteriore di 19&rdquo; &ndash; che rendono la Elefant 900 assolutamente prima nel mostrare l&rsquo;evoluzione che da l&igrave; a poco (siamo nel 1990) la BMW far&agrave; sua nella sua nuova pietra miliare GS 1100.&nbsp;  La prova di In Moto    Nella primavera del &lsquo;90 per&ograve; la &ldquo;petroliera col becco&rdquo; &egrave; ancora in fase di progetto, e qui parliamo della Cagivona. Che in fuoristrada ha &ldquo;sospensioni solidissime che tollerano e incassano senza eccessivi traumi lo sterrato accidentato&rdquo; con la sola tendenza &ldquo;...a prendere sotto nell&rsquo;impiego brillante fuoristrada, indotto dalla &ldquo;ruotina&rdquo; di 19&rdquo; che evidentemente va in crisi nel direzionare tanta macchina sullo stretto. Su asfalto la Elefant 900 dimostra tutte le sue qualit&agrave;, con un incedere da stradale e con un brillante rendimento sul misto ove recepisce con prontezza le minime correzioni, accusando solo una lievissima sensibilit&agrave; di avantreno sui curvoni veloci con fondo ondulato&rdquo;. In realt&agrave; le imprecisioni di avantreno, off e on-road, erano dovute semplicemente a un&rsquo;inclinazione forcella notevole e un appoggio inferiore al necessario, perch&eacute; le misure delle gomme facevano i conti con la disponibilit&agrave; del tempo (le stesse della piccola Aprilia Pegaso 600).&nbsp;  La situazione &egrave; migliorata, la scelta &egrave; pi&ugrave; diversificata e le pi&ugrave; evolute radiali bimescola - Pirelli Scorpion Trail II (100+117 euro) e Continental TrailAttack2 (80+119 euro) - su asfalto sono tanta roba. Le Metzeler Tourance sono una scelta collaudata (87+104 euro), e con una scolpitura pi&ugrave; off ci sono le Continental ContiEscape (81+97) o le famose tassellate Continental TKC80 (102+120 euro, tutte su pneus-online). Ci vorrebbero due ruote gommate diversamente per giocare a seconda delle uscite da affrontare. I punti deboli dei primi motori 900 si risolvono definitivamente solo con la sostituzione completa. Nei due anni successivi furono progressivamente migliorate le fusioni per basamento, cilindri, testate, la robustezza dell&rsquo;albero motore e dei pistoni, e la potenza del generatore (da 300W a 350 nelle versioni post 1991). Sono i motori delle Elefant con assetto basso (forcella da 240 a 210 mm e monoammortizzatore da 230 a 190 mm), e successivamente con forcella upside-down Showa e poi Marzocchi da 45 mm, doppio freno disco anteriore di 282 mm &Oslash; (invece del monodisco Nissin). Cos&igrave; trasformata la Elefant divent&ograve; assai stradale e il motore &ndash; cambio a 6 marce e testate a valvole piccole (43 a 41 mm aspirazione, 41 a 39 scarico) &ndash; meno grintoso ma pi&ugrave; gestibile e lineare. Sono le versioni pi&ugrave; comuni e meno valutate, decisamente pi&ugrave; godibili e dal 1993 private dell&rsquo;iniezione (ritorno ai carburatori Mikuni BST 36) meno problematiche.  VERSIONI SPECIALI  Veramente difficili da rintracciare sono le versioni speciali allestite da CH Racing, il reparto corse della famiglia Azzalin che ha sempre allestito tutte le Cagiva Elefant ufficiali per la Dakar, e le repliche da vendere ai piloti privati. Moto derivate dalle Elefant di serie, ma che non hanno nulla a che vedere con le ultime Elefant di serie personalizzate con un adesivo &ldquo;Marathon&rdquo; sui fianchi della carenatura, sotto le frecce. Le vere Elefant Marathon, quelle vendute dal reparto corse CH Racing-Azzalin, utilizzavano telai simili ma saldati a TIG, forcelloni rinforzati, sospensioni a lunga escursione, serbatoio posteriore supplementare, un motore Ducati preparato e alimentato da carburatori Keihin. Soprattutto avevano l&rsquo;immancabile ruota anteriore di 21&rdquo; (omologata sulla carta di circolazione). Ne furono completati pochi esemplari ed &egrave; impossibile dare una quotazione indicativa.  Pregi: Doti di guida, fuoristrada e asfalto, prestazioni divertenti, erogazione e personalit&agrave; del motore, serbatoio e sovrastrutture in materiale plastico.  Difetti: Manutenzione frequente e costosa,&nbsp; rumorosit&agrave; meccanica e della frizione, ricarica energia generatore versione 1990/91, svergolamento forcella, freno a disco anteriore singolo.  USATO, KAWASAKI ER-6N: GIOIELLINO DIVERTENTE 

La moto varesina fu una vera enduro con un vero motore Ducati,&nbsp;motore 900 a iniezione elettronica e grafica per eccitare gli appassionati di rally

Usato, Cagiva Elefant 900 ie: l&#39;Elefantino ufficiale

Il nome Cagiva porta alla mente una delle ere pi&ugrave; intense del motociclismo, quello degli anni &#39;80 e &#39;90, caratterizzati dai modelli 125 e oltre, realizzati dall&#39;azienda varesina all&#39;epoca parte di Ducati e oggi membro del gruppo MV Agusta. Un marchio che ha fatto la storia del motociclismo italiano e internazionale, che ancora oggi rivive grazie alla nuova gamma Lucky Explorer presentata nel 2021 da MV Agusta. Ma il fascino e la tradizione di Cagiva sono fonte d&#39;ispirazione anche e soprattutto per i designer, che attraverso dei render creano delle moto ideali capaci di contenere gli stilemi del passato e le funzioni moderne. Come Oberdan Bezzi e la sua Cagiva C-55 Canyon.    MV Agusta e Benelli insieme per la nuova Cagiva?    Nome scelto non a caso. Canyon e Gran Canyon sono infatti delle enduro prodotte da Cagiva a fine anni Novanta-inizi Duemila, le cui caratteristiche sembrano poter rivivere nella fittiza C-55. Come sottolinea lo stesso Bezzi, si tratta di una enduro costruita in collaborazione con Benelli: la Casa pesarese fornirebbe elementi come motore e telaio, che poi MV Agusta penserebbe a modificare secondo le esigenze della moto e del segmento.  CAGIVA C70: IPOTESI SEDUCENTE PER UNA FUTURA MEDIA SPORTIVA  Dai rendering, appare una moto semplice, con strutture essenziali, che non vuole tanto apparire quanto semmai emozionare grazie alle sue prestazioni. Insomma, una moto desiderosa di far scatenare uno spirito avventuriero (anzi, Adventure...), pratica e versatile, a met&agrave; tra una enduro e una scrambler, fruibile per i pi&ugrave; giovani. Chiss&agrave; che a qualcuno a Schiranna l&#39;idea non piaccia.  (Foto: Motosketches by Oberdan Bezzi) 

Il rendering di Oberdan Bezzi propone una moto pratica e versatile come una scrambler, con motore e telaio della Casa pesarese riviste dal marchio di Schiranna e dedicata ai pi&ugrave; giovani

Cagiva C-55 Canyon, l&#39;enduro in chiave MV Agusta e Benelli

Dici Cagiva 125 e pensi Mito! E&#39; un parallelismo immediato e scontato, ma non tutta la storia delle 125 varesine &egrave; stata scritta da quel solo modello. Ci sono una manciata di altre moto che prima di lei hanno rafforzato la presenza del marchio nel segmento delle ottavo di litro sportive e che hanno messo le basi per quello che &egrave; il capolavoro di cui tutti abbiamo memoria. Dopotutto con Giovanni Castiglioni come presidente e Massimo Tamburini come designer non potevamo aspettarci altro se non qualcosa di iconico! Ma andiamo per gradi e in ordine di tempo...  Aletta Oro  Correva l&#39;anno 1984 e il mercato richiedeva nuove moto 125 capaci di soddisfare i pruriti sportivi dei pi&ugrave; giovani. In quel periodo fu presentata la&nbsp;NS125F di Honda e tutti si accorsero che i giovani volevano mezzi veloci, raffinati e belli, proprio in un periodo in cui i portafogli dei pap&agrave; erano belli gonfi grazie al benessere economico degli &#39;80. Situazione perfetta per un prodotto come la Aletta Oro S1, che riprendeva il nome di un modello da corsa degli anni sessanta e il design dalle maxi giapponesi dell&#39;epoca (tipo Yamaha FZ e Kawasaki GPZ), in un mix ben riuscito che la faceva sembrare una moto pi&ugrave; grossa. Tecnicamente era un mezzo in linea con la tecnologia dell&#39;epoca e poteva garantire 21CV e una velocit&agrave; massima di 140 all&#39;ora. Nel 1986 la sua evoluzione S2 port&ograve; in dote l&#39;avviamento elettrico di serie e piccoli nuovi dettagli come taratura sospensioni e colorazioni. Purtroppo l&#39;assenza della valvola allo scarico le faceva pagare qualcosa in merito a capacit&agrave; di elaborazione e prestazioni generali.&nbsp;    &nbsp;  Freccia C9    Per sostituire l&#39;Aletta Oro serviva una rivoluzione tecnologica e prestazionale, fare il salto da una moto sportiva a una supersportiva in miniatura e l&#39;occasione arriv&ograve; nel 1987 con la Freccia C9 (qui il nostro Rewind), che lasci&ograve; tutti di stucco per il suo stile particolare e le sue ottime prestazioni. Quel tale Massimo Tamburini che l&#39;ha disegnata ha pensato a un mezzo estremamente aerodinamico e armonioso, con il grandissimo parafango anteriore a coprire la ruota e il profilo della carena &quot;sigillata&quot; che crea un&#39;unica linea fino al posteriore, che a sua volta integra l&#39;impianto di scarico con doppia uscita ai lati dello stop. Prestazioni? Niente da eccepire: 24 CV, 128 kg e 155 all&#39;ora erano in linea con le concorrenti dell&#39;epoca, cos&igrave; come la ciclistica, che poggiava su un inedito telaio in tubi quadri in acciaio, e che era chiaramente ispirata dalle competizioni garantendo un ottimo comportamento su strada.    &nbsp;  Freccia C10/C12    La Freccia colp&igrave; il bersaglio e dopo appena un anno dal debutto della C9 arriv&ograve; la C10, che cambi&ograve; i connotati dell&#39;estetica e l&#39;avvicin&ograve; allo stile della Ducati Paso di recente presentazione. Questo significa faro anteriore rettangolare pi&ugrave; grande, specchietti ai lati del cupolino con frecce integrate e (purtroppo) scarico in posizione tradizionale e non pi&ugrave; nel codino. Con queste nuove features &egrave; ancora molto gradita e continua a vendere, bench&egrave; la base tecnica &egrave; rimasta fondamentalmente la stessa della prima serie. Con la C12 del 1989 si ebbero importanti modifiche tecniche volte ad aggiornare le prestazioni: arriv&ograve; un nuovo motore da 29 CV con il mitico cambio a 7 rapporti che fu anche la chicca tecnica (tra le tante) della moto che l&#39;anno dopo and&ograve; a sostituire la serie... la mitica Mito.  &nbsp;  Mito    Non ha bisogno di presentazioni... ora, ma la Mito fu mostrata per la prima volta nel 1990 in versione naked e fu molto apprezzata da tutti. In realt&agrave; il progetto era carenato fin dall&#39;inizio, ma un problema nella fornitura delle carene delle preserie ha costretto Castiglioni a scegliere questa strana soluzione per la presentazione ufficiale del modello, in soldoni per no perdere il treno delle vendite, molto favorevoli tradizionalmente ad inizio estate.   La Mito fu una rivoluzione su tutti i fronti, sembrava una GP con la targa e i fari tondi, e anche tecnicamente era strettamente derivata dalle moto da corsa. Semimanubri spioventi, telaio (sviluppato da Gilberto Milani) con travi in estruso, forcellone a &quot;banana&quot; e sospensioni tarate a puntino. I numeri messi in campo erano notevoli: i 31,4 CV alla ruota a 10.500 giri ed una coppia massima di 2,16 kgm a 10.000 giri, rappresentarono i migliori valori della categoria. La velocit&agrave; massima ottenuta grazie anche ad una buona aerodinamica &egrave; di 172,716 km/h. Era la 125 pi&ugrave; veloce del mondo. Qui la nostra prova Rewind del 1990. Nei suoi 4 anni di carriera ha visto diverse versioni tra cui la speciale Denim, la Racing, la Lawson &quot;7&quot; Replica e la corsaiola SP.    &nbsp;  Mito EV  Nel 1994 c&#39;era bisogno di un aggiornamento alle linee e Massimo Tamburini - fresco di gloria con la presentazione della Ducati 916 - decise di convertire la Mito in una Ducati Superbike in miniatura. La Mito EV &egrave; senza dubbio bella, equilibratissima nelle linee e cos&igrave; come la prima serie riusc&igrave; ad attirare i giovani grazie alle linee ispirate alle 500 di Cagiva, cos&igrave; la EV riusc&igrave; ad attrarre con l&#39;ispirazione della pi&ugrave; bella supersportiva della storia. La EV non portava particolari aggiornamenti tecnici se non un nuovo ammortizzatore di sterzo e sospensioni Marzocchi riviste. Rimane il mitico cambio a 7 marce che porter&agrave; questa moto fino al termine della sua carriera, o meglio fino al termine della gloria delle 125 carenate, perch&egrave; ci fu anche una versione finale chiamata SP525 (affettuosamente ribattezzata &quot;maialino&quot;) con estetica ammodernata di ispirazione Cagiva C594 da GP. Qui il motore &egrave; un 6 marce da 15 cavalli come la legge impone, ed infatti fu il canto del cigno della serie.&nbsp;    Top5: le Honda 125 sportive che hanno fatto storia  Top5: le Gilera 125 sportive che hanno fatto storia 

Dopo Gilera e Honda non possiamo che passare al marchio dell&#39;elefantino, che con le sue piccole sportive ha fatto sognare un paio di generazioni di 16enni con il carattere e la tecnica di alcuni intramontabili cult

Top5: le Cagiva 125 sportive che hanno fatto storia

Dalla met&agrave; degli anni&nbsp;&#39;80 le Caase&nbsp;motociclistiche italiane dominavano la scena mondiale con piccoli gioielli su due ruote. Le leggendarie 125 che da quel decennio e fino alla met&agrave; di quello successivo&nbsp;fecero man bassa di cuori. Non solo dei 16enni, ma anche verso i motociclisti pi&ugrave; scafati&nbsp;che restavano&nbsp; spesso&nbsp;ammaliati&nbsp;da quei gioellini fatti di tecnica e design, e che ancora oggi avrebbero molto da dire.&nbsp;  La concorrenza tra le varie case era asfissiante, e questo fece s&igrave; che nel giro di poche stagioni le 125 italiane arrivarono ai vertici mondiali per tecnica, ma crebbero pure in fatto di specializzazione, oltre che diventare troppo costose.    In questo capitolo ripercorrriamo i profili di 4 regine datate 1989. Aprilia AF1 Replica 125, Cagiva Freccia C12 R, Gilera SP-01 e Honda Italia NSR 125 R: quattro protagoniste del periodo e che, ancora oggi, fanno sognare frotte di smanettoni nostalgici. Ripercorriamo la loro storia attraverso le nostre impressioni di guida nella comparativa realizzata sullo speciale In Moto 7-8 del 1989.  Pronti? Voltate pagina&nbsp;e... si parte!  &nbsp;  &nbsp;  APRILIA AF1 &quot;REPLICA&quot;  Linea filante, colorazioni e sponsor &quot;ufficiali&quot; ma anche grande guida. In breve: fascinosissima  La sportiva Aprilia ha parecchi particolari altamente coinvolgenti a livello di finitura come il disco anteriore flottante e lo splendido telaio con le sue superfici tirate a specchio. Di ottima qualit&agrave; sono anche le verniciature, brillanti e resistenti. Passando al ponte di comando, spicca la stupenda piastra in lega leggera che raccorda i due semimanubri forgiati in alluminio. La strumentazione (contagiri, tachimetro/contachilometri e termometro per il liquido di raffreddamento) &egrave; completamente rinnovata e decisamente professionale.  La AF/1 Replica offre una posizione di guida decisamente corretta e pi&ugrave; sportiva della Sintesi, grazie al nuovo manubrio pi&ugrave; basso ed avanzato. L&rsquo;abitabilit&agrave; &egrave; sempre buona anche per i piloti di alta statura, che trovano nelle forme della macchina sagomature perfettamente complementari. Grazie alla buona imbottitura della sella, alla discreta protettivit&agrave; del cupolino, ed alla migliorata taratura della forcella, il comfort di marcia &egrave; apprezzabile, anche se la sospensione posteriore resta un pelo rigida nella risposta. Sempre elevate le vibrazioni, soprattutto su pedane e sottosella, ma per la verit&agrave; si notano raramente quando si &egrave; impegnati a godere delle straordinarie caratteristiche di guida e maneggevolezza offerte dalla nuova Replica: una pura racer anche nel comportamento su strada. Permette infatti pieghe da capogiro in tutta sicurezza col confortante supporto delle sopraffine coperture Dunlop radiali, che trasmettono grande sensibilit&agrave; anche al limite.    La guida &egrave; estremamente disinvolta e precisa sul veloce, scevra da oscillazioni, immediata nel centrare al primo colpo la traiettoria ideale che risulta successivamente sempre sostanzialmente neutra. Solo lo sconnesso viene talvolta mal digerito e manca anche un po&rsquo; di sensibilit&agrave; sull&rsquo;avantreno nelle rapide variazioni di inclinazione. Grande la frenata, sempre al vertice per feeling, modulabilit&agrave; in condizioni limite e riserva di potere decelerante, con spazi di arresto che sono sostanzialmente i migliori della categoria. Il motore ha fornito eccellenti prestazioni globali, con una velocit&agrave; di punta molto prossima ai 170 km/h effettivi, non disgiunta da una accelerazione brillantissima, affiancata da eccezionali caratteristiche di allungo fino ad oltre 11.000 giri di strumento e da una ripresa pi&ugrave; che dignitosa. Il consumo &egrave; il pi&ugrave; basso della categoria. Peccato che la frizione strappi quando venga stressata a fondo, e non assecondi dunque il cambio, veramente ineccepibile per precisione e rapidit&agrave;.&nbsp;  Potenza 31,4 CV. Velocit&agrave; massima: 169,1 Km/h. Accelerazione 0-100: 7&rdquo;5 sec. Accelerazione 0-400: 15&rdquo;1 sec. Velocit&agrave; dopo 0-400: 141,9 Km/h. Ripresa: 0-400: 20&rdquo;0. Peso: 134,6 Kg  &nbsp;  Cagiva Freccia C12R  Carenatissima e personale, ha nel cambio a 7 rapporti una nota di esclusivit&agrave;. Facile da guidare con la ruota da 16&quot;  La linea della Cagiva Freccia &egrave; positivamente caratterizzata dalla carrozzeria integrale. Sotto il guscio superiore sono stati intelligentemente raggruppati i serbatoi del carburante, del liquido refrigerante e del lubrificante. Il manubrio &egrave; in due pezzi, realizzati in lega leggera: lo stesso materiale impiegato per i comandi a pedale e le staffe per le pedane. Il cruscotto comprende tre strumenti di forma circolare e di disegno e grafica tipicamente sportivi (contagiri, tachimetro/contachilometri e termometro per il liquido refrigerante), integrati da una nutrita serie di spie luminose per folle, indicatori di direzione, luci, abbagliante, riserva benzina e olio, batteria e stampella laterale. Anche se il posto guida &egrave; pressoch&eacute; obbligato, quasi scavato nel corpo macchina, senza possibilit&agrave; di avanzare ed arretrare, ci si sorprende di quanto sia comunque azzeccato sia per le taglie piccole che per quelle forti. Il merito sta nella anatomica raccordatura fra la sella ed i fianchi della struttura copriserbatoio, effettivamente complementare al pilota.    La sella &egrave; bassa e le pedane un po&rsquo; alte, ma la posizione del busto &egrave; corretta grazie al giusto dislivello fra manubrio e posto guida. Anche la Freccia appartiene alla categoria delle moto facili da condurre, quelle che impegnano poco e fanno sentire subito dei gran manici. Il comfort di marcia si &egrave; avvantaggiato con la taratura pi&ugrave; soffice della forcella, ma la sospensione posteriore resta secca sulle buche, e le vibrazioni fastidiose agli alti regimi, mentre discreta &egrave; la protettivit&agrave; garantita dal cupolino. Poco male perch&eacute; la meccanica &egrave; inesauribile fonte di soddisfazioni: se escludiamo una lieve incertezza di carburazione sui 5.000 giri, il motore &egrave; infatti estremamente sostanzioso in basso, entra in coppia sui 6.500 giri ed allunga brillantemente fino a 10.500 ed anche 11.000 giri. Tutte le prestazioni sono piuttosto elevate, dalla velocit&agrave; di punta di circa 166 km/h alla eccellente accelerazione ed alla notevole ripresa, ma tutto si paga con consumi elevati. Eccellente il nuovo cambio a sette marce, fluido e spaziatissimo, mentre la frizione &egrave; particolarmente modulabile anche se sensibile alle strapazzate.  La Freccia, con le sue ruote da 16&rdquo;, &egrave; la pi&ugrave; maneggevole della categoria alle velocit&agrave; medie ed elevate, ed azzecca l&rsquo;inclinazione ideale quasi automaticamente. &Egrave; inoltre sicura in traiettoria e stabile sui curvoni, con eccellenti capacit&agrave; di inclinazione, anche se l&rsquo;assetto &egrave; talvolta incoerente sullo sconnesso. Nettamente migliorata la frenata, con grande sensibilit&agrave; e sicurezza in situazioni critiche, ma con una certa tendenza a perdere efficacia sotto sforzo ed al bloccaggio dell&rsquo;unit&agrave; posteriore. &nbsp;&nbsp;  Potenza 31 CV, velocit&agrave; massima: 165,9 Km/h. Accelerazione 0-100: 7&rdquo;4. Accelerazione 0-400: 15&rdquo;1. Velocit&agrave; dopo 0-400: 140,4 Km/h. Ripresa&nbsp; 0-400: 20&rdquo;8. Peso 132,9  &nbsp;  &nbsp;Gilera SP-01  Una vera moto da corsa abilitata a circolare su strada. Grandi prestazioni e motore nuovo. Non &egrave; molto comoda  Autentica fuoriserie spiccatamente sportiva, la Gilera&nbsp;SP-01 vanta finiture caratterizzate da quel tocco di artigianale ed essenziale che fa letteralmente impazzire i fan delle special destinate all&rsquo;uso su pista. Ci riferiamo soprattutto all&rsquo;impianto frenante decisamente professionale, al manubrio in due pezzi in alluminio e allo strettissimo, ma efficace gruppo ottico anteriore, alla sella con codino asportabile (per trasformarla in biposto), ai comandi arretrati in lega leggera. Decisamente racing &egrave; il serbatoio della pompa del disco anteriore posizionato sulla testa di forcella. Professionale e di bel disegno &egrave; la strumentazione che prevede l&rsquo;inconsueto tachimetro/contachilometri asportabile per l&rsquo;impiego agonistico, il contagiri con zona rossa che attacca a 11.000 giri e il termometro per il liquido di raffreddamento. Altri dettagli che non mancheranno di coinvolgere positivamente l&rsquo;appassionato sono, senza dubbio, lo splendido telaio Twinbox a doppio montante diagonale in acciaio ed il forcellone in pressofusione d&rsquo;alluminio, cuore della sospensione PowerDrive. Sembra proprio di sedere in sella ad una moto da GP!    Il posto guida &egrave; in alto ed il busto caricato in avanti verso il manubrio stretto e basso, con le gambe contratte sulle pedane alte e moderatamente arretrate. La sensazione di guidare una moto da corsa si cimenta col ridotto comfort di marcia offerto: le sospensioni sono rigidissime, soprattutto la forcella, ed i loro effetti amplificati dalla scarsa imbottitura della sella e da vibrazioni bene avvertibili. L&rsquo;illusione &egrave; perfetta non appena si smanetta (fa anche rima...): il motore ama girare alto, e fornisce un campo di utilizzazione piuttosto ristretto, ma comunque prestazioni notevolissime, con la potenza massima rilevata di 29,2 CV alla ruota, e la maggiore velocit&agrave; di punta, superiore ai 170 km/h! Troppo? Non proprio, se si considera che l&rsquo;impianto frenante ha un rendimento analogo a quello di una moto da corsa e fornisce spazi di arresto contenutissimi i migliori assieme all&rsquo;Aprilia in sicurezza soprattutto dalle velocit&agrave; pi&ugrave; elevate, ed &egrave; sfruttabile anche nella delicata fase dell&rsquo;inserimento in curva.  Meno maneggevole delle colleghe alle velocit&agrave; medie e alte, la SP-01 richiede una guida specialistica e molto decisa: solo in questo modo si possono sfruttare appieno le superiori caratteristiche di appoggio garantite dai nuovi pneumatici Michelin. Notevole la precisione e la stabilit&agrave; sul veloce, mentre sullo sconnesso, come tutte le racing replica, anche la SP 01 accusa incoerenze di assetto. La frizione &egrave; modulabile e resistente, mentre il cambio &egrave; preciso, ma si irruvidisce sotto sforzo.  Potenza 29,2 CV. Velocit&agrave; massima: 171,2 Km/h.&nbsp; Accelerazione 0-100: 7&rdquo;6 sec. Accelerazione 0-400: 15&rdquo;4 sec.&nbsp; Velocit&agrave; dopo 0-400: 138,1 Km/h. Peso 131,3 Kg.  &nbsp;  Honda NSR 125 R &nbsp;  Compatta ed elegante, offre comfort al pilota e una sincera sfruttabilit&agrave;. Originale il telaio Alcast in alluminio  La riuscita e tagliente linea della carena integrale, sulla quale spicca il doppio gruppo ottico circolare, sono il biglietto da visita della sportiva Honda. La finitura &egrave; di alto livello: oltre a verniciature brillanti e resistenti troviamo, infatti, analoga cura nella definizione dell&rsquo;interno del cupolino. Di elevato livello &egrave; anche la realizzazione dei comandi al manubrio, dove spicca l&rsquo;inconsueta leva della frizione, abbassata rispetto al piano di attacco. La strumentazione &egrave; alloggiata in un cruscotto completamente immerso nella parte interna del cupolino e comprende un grosso contagiri che ospita la spia della riserva del lubrificante, il tachimetro/contachilometri e il termometro del liquido refrigerante. In un &quot;ponticello&quot;, parte integrante della carrozzeria, che collega il serbatoio al cupolino, &egrave; ospitata una ricca serie di spie luminose. Nonostante il compatto dimensionamento, la piccola Honda offre abitabilit&agrave; ai fantini come ai pivot, grazie al ben studiato dimensionamento delle parti a contatto col pilota, con sella e pedane relativamente basse, ed il busto moderatamente reclinato in avanti.  L&rsquo;adozione della carenatura integrale ha esaltato le condizioni di passista della &laquo;hondina&raquo; sportiva, e migliorato la protezione aerodinamica, mentre le sospensioni, soprattutto la forcella, garantiscono un buon comfort di marcia. Avvertibili le vibrazioni anche se non raggiungono mai livelli di vero fastidio. Anche la NSR/R appartiene alla categoria delle moto maneggevoli, soprattutto a bassa velocit&agrave; ove sfodera un elevato equilibrio che non implica per&ograve; un avantreno troppo pesante. Molto pronta negli inserimenti in curva, la piccola NSR accetta di buon grado le correzioni che digerisce con armonia e sicurezza. Equilibrata anche sullo sconnesso, la NSR/R &egrave; precisissima sul veloce, e pu&ograve; raggiungere inclinazioni notevoli grazie alle equilibrate coperture Pirelli Dart che garantiscono grip a non finire e soprattutto sincerit&agrave;.    Di alto livello, come quelli delle altre colleghe peraltro, l&rsquo;impianto frenante, che garantisce elevata sfruttabilit&agrave; anche in condizioni critiche, ma sul quale occorre esercitare una forte trazione per ottenere le migliori prestazioni. Esuberante il disco posteriore che porta ad indesiderati bloccaggi. Allineata alla Cagiva in velocit&agrave; di punta, la NSR/R fornisce prestazioni soddisfacenti ma nella media in accelerazione e ripresa, ed anche nei consumi non &egrave; cos&igrave; brillante come le migliori concorrenti. In compenso ha una frizione da lode ed un cambio preciso, ma che accusa una lieve tendenza ad irruvidirsi.  Potenza 28 CV. Velocit&agrave; 164 Km/h. Accelerazione 0-100: 7&rdquo;3 sec. Accelerazione 0-400: 15&rdquo;4 sec. Velocit&agrave; dopo 400 metri: 136,3 Km/h. Peso 127,0 Kg.   

Aprilia AF1 Replica, Cagiva C12 R, Gilera SP-01, Honda NSR 125 R sono protagoniste di questo confronto (con i rilevamenti) tra le piccole regine che dominavano la scena a fine anni &#39;80

Rewind, 125 sportive: le pi&ugrave; belle del mondo

E se Cagiva tornasse finalmente, dopo anni, sul mercato? I nostalgici delle sportive anni &#39;90 se lo augurano ogni giorno. E forse anche gli appassionati in generale. Ahinoi, per adesso sono solo speranze. C&#39;&egrave; per&ograve; chi ha la capacit&agrave; e gli strumenti per disegnarne una, seppur fittizia, e far sognare i motociclisti. &Egrave; Oberdan Bezzi, con la sua Cagiva C-70 Race.    Una media sportiva da 100 cv  Il noto designer&nbsp;ha immaginato il concept di una sportiva stradale leggerissima e iper-dinamica. Magari spinta da un bicilindrico da 700 cc, con un centinaio di cavalli. Una media compatta senza tanti fronzoli, con una ciclistica di qualit&agrave;. Con un solo colore disponibile, rosso, quel rosso che Cagiva utilizzava decenni fa in pista.  Insomma, secondo Bezzi Cagiva farebbe bene a tornare sul mercato con una degna concorrente dell&#39;Aprilia RS 660, magari. Siete d&#39;accordo?  CREATORI DI SOGNI: DESIGNERS CHE HANNO LASCIATO IL SEGNO NELLE MOTO 

Oberdan Bezzi ha immaginato il ritorno dello storico marchio con la C70 Race, una bicilindrica leggera da 700 cc e un centinaio di cavalli

Cagiva C70: ipotesi seducente per una futura media sportiva

Cagiva Ferrari F4, questo il nome del prototipo che Claudio Castiglioni (patron negli anni &#39;90 del gruppo che comprendeva Cagiva e Ducati) voleva realizzare in collaborazione con il Cavallino Rampante. Una moto rivoluzionaria che, nelle intenzioni di Castiglioni, avrebbe dovuto competere in pista e diventare anche una due ruote stradale tra le pi&ugrave; belle di sempre. Un sogno ambizioso che per&ograve; si infranse. Di quel progetto, oggi, non resta che un unico esemplare-prototipo esposto al Museo MV Agusta.  Il progetto Cagiva-Ferrari  Il prototipo della Cagiva Ferrari F4 aveva la carena della Cagiva C594 in gara nel Motomondiale di quegli anni e parti derivate da altri modelli del marchio. Il faro proveniva da una Cagiva Canyon, gli specchietti retrovisori dalla Cagiva Mito e la strumentazione LCD dalla Cagiva 500.    Il motore venne realizzato dagli ingegneri Ferrari: un 4 cilindri in linea da 750 cc, valvole radiali, cambio estraibile e distribuzione a catena posizionata centralmente;&nbsp;un vero e proprio propulsore da corsa che avrebbe dato il nome alla moto stessa, con la F ad indicanre appunto l&#39;origine Ferrari e 4 come il numero dei cilindri.    I test su pista e la fine del &ldquo;sogno&rdquo;  La notizia della nascita di una moto realizzata da Cagiva-Ferrari venne seguita con interesse dalla stampa internazionale e si diffuse anche la voce di una possibile intenzione della Ferrari di inserire la moto tra i prodotti ufficiali del marchio. Fu il circuito del Mugello ad ospitare il primo test su pista della F4 coi tester Cagiva e Pierfrancesco Chili. I giri di quel muletto furono un&#39;illusione.  Il giudizio di Pierfrancesco Chili sul prototipo con motore Ferrari, dopo il breve test al Mugello, fu drastico. Bocci&ograve; il propulsore, che poi in effetti sarebbe stato rifatto. Sulle pagine di Motosprint dichiarava: &quot;In basso non aveva niente, la coppia era tutta in alto e arrivava di colpo. L&rsquo;inizio era sbagliato. La ciclistica non era male ma per metterla in crisi ci vuole un motore che spinga, e che prenda nel momento giusto. Direi che la moto... non era ancora moto, ma feci soltanto un paio di giri (in realt&agrave; sette, ndr). Insistere a quello stadio di sviluppo non avrebbe avuto senso&quot;.    &nbsp;  Il sogno di Castiglioni si infranse per il sopraggiungere di alcune difficolt&agrave; contingenti dovute ai possibili problemi di bilancio di Cagiva che, gi&agrave; impegnata in investimenti importanti per il Motomondiale, non avrebbe potuto sostenere adeguatamente i costi di produzione della moto. Al contempo, anche la Ferrari decise di ritirarsi in quanto non soddisfatta dalle performance del motore in fase di test con il timore ulteriore di un possibile investimento sbagliato che avrebbe potuto minare il prestigio del marchio. Sarebbe dovuta essere una Cagiva&nbsp;poi, su pressione di Massimo Tamburini, Castiglioni aveva voluto anche i fuochi artificiali acquistando il marchio MV Agusta.&nbsp;  La MV Agusta F4  Il prototipo della Ferrari-Cagiva F4 torn&ograve; d&#39;attualit&agrave; con l&#39;acquisto da parte di Cagiva di MV Agusta.&nbsp;Lo stesso Tamburini, incaricato da Castiglioni di progettare il design della F4, convert&igrave; quel progetto nella MV Agusta F4. La moto, presentata nel 1997 a Eicma, rispetto alla precedente perse qualsiasi familiarit&agrave; con Ferrari nel motore ma era dotato di tecnologie e design all&#39;avanguardia con 126 CV a 12.500 g/min, per una coppia di 72 Nm a 10.500 g/min.    Sotto le carene, venne posizionato un telaio a struttura mista a traliccio imbullonato a piastre di alluminio nella zona di attacco del forcellone (monobraccio),&nbsp;mentre lo scarico terminava con l&#39;originalissimo design a canne d&#39;organo con&nbsp;quattro uscite&nbsp;poste sotto il doppio faro. Una moto innovativa nella tecnica e nel design che contribu&igrave; al deciso rilancio del marchio di Schiranna e che venne riconosciuta come &quot;La moto pi&ugrave; bella del mondo&quot;.  Moto da nababbi: ecco quali sono le pi&ugrave; costose 

Progetto voluto&nbsp;da Claudio Castiglioni, coinvolse&nbsp;anche la Ferrari. Si infranse dopo i primi test su pista, ma dalle ceneri arriv&ograve; la MV Agusta F4: la moto pi&ugrave; bella del mondo

Rewind, Cagiva - Ferrari F4: un sogno a luci Rosse

Alla recente Kermesse veronese, presso lo stand della Federmoto, esposte quattro moto 125 anni &#39;90 della collezione privata di Dario Bedin. Aprilia Futura, Cagiva Freccia e Mito e Gilera SP-01 perfettamente restaurate. Tanti gli sguardi ammirati di giovani e meno giovani per questi gioielli che non sembrano risentire del tempo che passa Foto di Filippo Pandin

MBE 2022, in passerella a Verona le mitiche 125 Made in Italy

Nella produzione Cagiva del periodo mancava un cinquanta stradale d&#39;impatto, in grado di interessare il pubblico di quattordicenni, ed al Salone di Milano &#39;91 fra lo stupore dei visitatori e di tutti gli addetti ai lavori, &egrave; stato presentato il Prima 50. Lo stupore, non a caso, sottolineava l&#39;effettiva novit&agrave; e l&#39;elevata tecnologia proposta anche nel settore dei ciclomotori, al periodo molto fervido, e considerati fino a qualche anno prima solo un mezzo di locomozione alternativo senza alcuna velleit&agrave; in fatto di estetica e di raffinatezza tecnica.  LOOK DA GP    Il Prima 50 &egrave; invece caratterizzato da un look estremamente aggressivo, ad immagine e somiglianza della &quot;bomba&quot; guidata nel Mondiale 500 GP da Eddie Lawson, e da soluzioni tecniche validissime sia per quanto riguarda la sicurezza di marcia sia per la funzionalit&agrave;. Ottimamente strutturato, il cinquantino sportivo di Varese ovvia al problema casco in caso di sosta con un capiente vano ricavato sotto il finto serbatoio (quello vero si trova sotto la sella) reso oltremodo sicuro da una serratura azionata dalla chiave d&#39;avviamento. Completamente carenato e dotato di tutti gli accessori che normalmente equipaggiano le maxi-sportive, il Prima viene prodotto in due versioni cromatiche: rosso Cagiva e con i colori Lucky Explorer con tanto di tabelle portanumero nella parte terminale del codino. Il prezzo dello sportivissimo cinquanta Cagiva era di 4.100.000 lire (circa 2.000 euro).  COM&#39;&Egrave; FATTA    Il Prima era un ciclomotore (a norma di Codice, ma aveva tutto per essere una piccola moto) dall&#39;aspetto grintoso ed importante che dimostrava pi&ugrave; dei suoi 50 cc; la carenatura in linea con le moto pi&ugrave; sportive vestiva in forma integrale, abbracciando il finto serbatoio con funzione di portaoggetti, raccordandolo alla perfezione con la parte posteriore caratterizzata da un profilatissimo codino. Il cupolino in cui era inserito un grintosissimo doppio faro, era arricchito da un ampio plexiglass trasparente. Le finiture nonostante si trattasse di un cinquantino erano di ottimo livello, infatti molti particolari come i cerchi, i foderi della forcella ed il silenziatore venivano abbelliti con vernici particolarmente lucide.  La strumentazione di derivazione sportiva contava su su due strumenti principali, contagiri e tachimetro, sono di differente diametro, il primo pi&ugrave; grande &egrave; posto al centro della plancia mentre il secondo, meno importante ai fini dell&#39;utilizzo, vanta dimensioni minori e si trova alla sua destra. Le spie segnalano: la mancanza di olio nel miscelatore, il folle, gli indicatori di direzione e le luci anabbaglianti.  REWIND, CAGIVA FRECCIA C9: DRITTA AL CUORE  La struttura della ciclistica &egrave; composta da un finissimo telaio bitrave in tubi a sezione prismatica con forcellone oscillante coadiuvato da un monoammortizzatore ad azione progressiva, Soft Damp, provvisto anche di regolazione della molla tramite il precarico meccanico ed in grado di garantire una corsa ruota di 120 mm. Anteriormente troviamo una splendida forcella upside-down costruita dalla Marzocchi, con steli da 32 mm &Oslash; e con un&#39;escursione di 120 mm. Molto potente ed ottimamente dimensionato l&#39;impianto frenante con dischi forati ed alleggeriti su entrambe le ruote. Quello anteriore ha un diametro di ben 260 mm mentre quello posteriore di 220 mm. I pneumatici avevano misure 90/90-16&quot; e 120/80-16&quot;.  Interamente nascosto dalla carena il propulsore&nbsp;era&nbsp;un evoluto due tempi a corsa corta di 49,8 cc&nbsp;raffreddato ad acqua. Aspirazione&nbsp;lamellare direttamente nel basamento e l&#39;alimentazione poggiava&nbsp;su&nbsp;un carburatore Dell&#39;Orto SHA 14/12&nbsp;e miscelazione automatica.  Gira pagina per leggere la nostra prova su InMoto del 1992:  &nbsp;  ECCELLE NELLA TENUTA E NELLA FRENATA    Il cinquanta sportivo Cagiva risulta sotto tutti i punti di vista una moto d&#39;impostazione estremamente racing, con il pilota raccolto con le gambe piuttosto chiuse e con le braccia distese ad impugnare il semimanubrio particolarmente basso. Queste sono appunto le caratteristiche di una moto da pista che richiede una guida fatta di spostamenti veloci durante i cambi di direzione. Nonostante queste caratteristiche che piacciono tanto ai giovanissimi, il Prima si &egrave; dimostrato un mezzo in grado di condurre &quot;un&#39;esistenza normale&quot;, quindi adatto ad andare a scuola e a passeggio in tutta tranquillit&agrave;. Un&#39;impostazione cos&igrave; sportiveggiante non lascia molto spazio ai particolarmente dotati fisicamente, il finto serbatoio e la parte centrale del telaio sono comunque poco ingombranti e permettono alle ginocchia di stare all&#39;interno della carenatura. Le sospensioni piuttosto dure, sono tarate in modo da garantire una discreta tenuta di strada, compromettendo un po&#39; il comfort che comunque si mantiene su valori accettabili.  La tenuta di strada &egrave; ottima, anzi quasi inusuale per un cinquanta, infatti se di solito si lesina sulla qualit&agrave; dei pneumatici per contenere i costi, in questo caso invece sono montati degli affidabili Pirelli MT 75. L&#39;impianto frenante come spesso avviene su questi ciclomotori iperevoluti, svolge il proprio compito senza nessuna difficolt&agrave;, garantendo spazi d&#39;arresto veramente contenuti grazie ad un generoso dimensionamento dei dischi ben serviti dalle relative pinze. L&#39;obbligo di montare il cambio a tre marce limita sicuramente le doti di ripresa e di utilizzo del propulsore Cagiva, che altrimenti vanterebbe una miglior progressione dopo ogni cambiata. Le prestazioni limitate dal codice non compromettono comunque la possibilit&agrave; di divertirsi e di godersi le doti del Prima. La frizione &egrave; morbida e modulabile mentre il cambio, soprattutto nella &quot;scalate&quot;, si indurisce impedendo un&#39;azione omogenea ed efficace.  REWIND, CAGIVA MITO 125 &#39;90: SEMPLICEMENTE... MITICA! 

Un ciclomotore? No, una vera e propria moto per i quattordicenni, con generose dimensioni e soluzioni tecniche di qualit&agrave; nata sull&#39;onda del successo della celebre 125

Rewind, Cagiva Prima 50: il piccolo mito

In principio fu lei. Con la presentazione delle due moto, le nuove Lucky Explorer 9.5 e Ducati DesertX, figlie della Elefant, andiamo a dare uno sguardo su cosa fosse la maxi enduro targata, al periodo, Cagiva. Potremmo semplicemente usare due parole per farvi capire di che moto stiamo parlando: Edi Orioli e Lucky Explorer. Sono i nomi di pilota e sponsor di una delle imprese pi&ugrave; belle del motorsport italiano, quando nel 1990 la Cagiva decise di non risparmiare e puntare tutto sulla vittoria alla Dakar con una moto che oggi &egrave; leggenda: la Elefant 900 ie, ovvero la risposta tricolore al dominio giapponese nel rally pi&ugrave; duro del mondo, che ha ovviamente stupito tutti sia nel deserto che nella versione di serie, con caratteristiche uniche e un motore che &egrave; tutto un programma.  Unica nel suo genere    Partiamo proprio dal motore, perch&egrave; fino a quegli anni nessuno aveva mai osato mettere la meccanica di una sportiva vera - la Ducati 900SS - su una grossa endurona dakariana. Il risultato poteva essere o un disastro totale o un&#39;arma affilatissima, e per fortuna i tecnici di Schiranna hanno lavorato bene realizzando la on-off pi&ugrave; concreta e corsaiola dell&#39;epoca. Solo a distanza di molti anni questa soluzione sarebbe diventata quasi normale, e tante crossover attuali condividono i propulsori con moto sportive e turistiche.  All&#39;epoca, per&ograve;, sembrava una sorta di frankenstein e sull&#39;utenza incuteva un certo timore. Alla fine, per&ograve;, la 900 ie era stata molto addolcita nell&#39;erogazione e dotata di una morbidissima frizione a bagno d&#39;olio, essendo impossibile da usare la classica a secco di Ducati nel deserto. La prima serie con iniezione elettronica prodotta dal 1990 al 1993 era tra l&#39;altro limitata in soli 1000 esemplari e aveva tutta la componentistica top dell&#39;epoca, derivata da quella usata in gara da Orioli e compagnia.  Punti forti e punti deboli    Quello che faceva storcere il naso ai puristi del fuoristrada era la ruota anteriore da 19&quot; affiancata a un disco freno grande, su un impianto frenante tipicamente stradale, un unicum nel panorama mondiale e unica pecca del progetto per chi voleva fare veramente fuoristrada con questa moto, mentre su strada il comportamento era superiore alla concorrenza proprio grazie a questa soluzione. Per il resto era la pi&ugrave; ciclisticamente raffinata, potente e leggera endurona dell&#39;epoca, con una grande coppia offerta fin dai bassissimi giri.&nbsp;  L&#39;alchimia perfetta di elementi stradali e off-road della Elefant 900 ie a tiratura limitata non si &egrave; ripetuta nella produzione seguente (in serie non numerata) che si pu&ograve; considerare una moto quasi completamente diversa. Nella versione di grande produzione, pi&ugrave; economica e meno preziosa, la ciclistica &egrave; meno rigorosa, la frizione pi&ugrave; brusca e l&#39;erogazione del motore meno pastosa perch&egrave; l&#39;iniezione &egrave; stata sostituita con i carburatori. Per fortuna nel 1991 abbiamo provato un esemplare numerato della prima serie e queste sono le considerazioni - pi&ugrave; o meno positive - di chi non sapeva ancora quanto iconica sarebbe diventata questa moto negli anni.  Gira pagina per leggere la nostra prova del 1991 -  Tutte le nostre prove del passato le trovate invece cliccando a QUESTO LINK  &nbsp;  Scrivevamo cos&igrave; su InMoto del 1991    In attesa della bellissima versione in Antracite metallizzato, che ne rende pi&ugrave; snelle le forme, anche per il 1991 la Cagiva ripropone sulla sua ammiraglia la banale livrea dello sponsor Lucky Explorer, che ha il difetto di rendere tutte uguali indipendentemente dalla cilindrata le enduro di Schiranna. La Elefant 900 ie si fa tuttavia apprezzare per l&#39;imponenza dimensionale e per l&#39;atipico ruotino anteriore da 19 pollici dominato da un discone Racing. Qualificata da componenti tecniche accuratamente selezionate e di grande qualit&agrave;, la 900 non offre uno standard di finitura particolarmente ricercato, ma tanta sostanza.&nbsp;  E&#39; una enduro per veri &quot;macho&quot; da trekking motociclistico, che non si crucciano pi&ugrave; di tanto se le verniciature non sono vitree e i gadgets non sono abbondanti, ma che sanno invece valutare la concreta robustezza di portapacchi, bocchettone in lega leggera o il rivestimento dello scarico in alluminio. Nel corredo di bordo non manca una completissima strumentazione con conta km, contagiri, termometro del lubrificante, orologio LCD ed una nutrita serie di spie luminose. Sulla &quot;Cagivona&quot; ci si trova bene inseriti ed agganciati su di un sellone piuttosto alto da terra e dall&#39;imbottitura piuttosto rigida, con pedane ben centrate e un manubrio largo e rialzato per dominare tanta macchina, ma seduti in una posizione un pelo pi&ugrave; arretrata del dovuto.   Nonostante le imponenti dimensioni e il chilometrico interasse, ci si sorprende di quanto docilmente la 900 ie si lasci condurre fino al punto di inorgoglirsi per come si riesce a gestire tanta macchina. La ruota anteriore di piccolo diametro, il manubrio largo e la corretta distribuzione dei pesi, garantiscono una piacevole manovrabilit&agrave;, per cui, quando si spinge nella guida sportiva l&#39;impegno &egrave; soprattutto di ordine psicologico. Il cupolino &egrave; decisamente protettivo soprattutto alle elevate velocit&agrave; di cui la Elefant 900 &egrave; capace, ed assieme a sospensioni ben controllate e mai veramente brusche, nonch&eacute; a vibrazioni davvero contenute, definisce un elevato comfort di marcia  Anche la Cagivona ama i grandi spazi, ma per la coppia del suo motore &egrave; la grande duttilit&agrave; di manovra pu&ograve; essere all&#39;occorrenza utilizzata anche nei percorsi angusti: solo nella guida decisa fuoristrada, agendo sullo sterzo con troppa determinazione si avverte una certa tendenza a prendere sotto. In compenso si&nbsp; comporta alla grande sul misto e sul veloce sia su strada che fuoristrada, con un assetto diligente sulle ondulazioni, che mostra qualche limite soprattutto con la forcella solo su malformazioni secche. Inoltre la taratura delle sospensioni a lunga escursione &egrave; in grado di tollerare anche qualche puntata crossistica senza accusare pesanti fondocorsa. L&#39;accoppiata con le coperture Pirelli MT60 garantisce su asfalto tutto il grip necessario per misurarsi all&#39;occorrenza sul misto con la sportiva di turno, oltre ad un discreto drenaggio sul fondo compatto o sentieri ghiaiosi, ma, a causa della limitata tassellatura, vanno in crisi su fondo pesante ove la macchina diventa veramente difficile da gestire.   Con spazi di arresto al vertice della categoria, la Cagiva 900 dispone dell&#39;impianto frenante pi&ugrave; grintoso e potente, ma &egrave; penalizzata da un assetto scomposto e svergolante, nonch&eacute; dal accentuata tendenza al bloccaggio della ruota posteriore. Il motore &egrave; un bab&agrave; da suggerire piano piano, potente ma soprattutto prontissimo nel rispondere all&#39;acceleratore. Fornisce il meglio di s&eacute; ed un vigore inusitato ai regimi intermedi, da 3500 a 7000 giri: cambiando in rapida successione all&#39;interno di questo arco di erogazione ci si invola con maggior rapidit&agrave; che spremendo le marce fino a 8500 giri.    Il bicilindrico varesino-bolognese dispone di potenza e coppia motrice elevatissime, dalla cui azione sinergica vengono fuori prestazioni al vertice della categoria in velocit&agrave; di punta come in accelerazione (dove viene superata di un soffio dalla Yamaha), con straordinaria capacit&agrave; di ripresa, ove ha stabilito una prestazione record. Oltretutto la Maxi enduro accusa consumi fra i migliori della categoria e viene sempre ben assecondata da un cambio dolce e ben spaziato, e da una frizione docile quanto ben gestibile &egrave; resistente.  Rewind, Yamaha XTZ 750 Super T&eacute;n&eacute;r&eacute;: regina di strada 

Nel 1991 l&#39;iconica endurona stradale di Schiranna era un concentrato di tecnologia e raffinatezza ciclistica nella prima versione a iniezione, limitata in soli 1000 esemplari. Ora &egrave; un pezzo da collezione, e in quegli anni ne parlavamo cos&igrave;

Rewind, Cagiva Elefant 900 ie &#39;91: l&#39;antesignana

La proposta in scala della Mito 135, prodotta dal 1992, aveva un&#39;impostazione prettamente da pista, ma si adattava anche a coloro che vogliono semplicemente andare a passeggio. Il cinquantino stradale di Cagiva presentava dimensioni generose e piena di soluzioni tecniche di qualit&agrave;, e nonostante fosse classificato come ciclomotore si trattava di un modello adatto ai giovani motociclisti

Cagiva Prima 50, il piccolo mito FOTO

Freccia tricolore. Quella arrivata nel 1987 fu un vero tormento per l&#39;animo focoso dei sedicenni del periodo. Con l&#39;accesa lotta tra le Case nel fiorente settore delle 125 sportive - una lotta che non fu priva di illustri &quot;vittime&quot; tra i vari competitor - che stava portando le ottavo di litro italiane ai vertici mondiali nel settore, la Cagiva, dopo la Aletta Oro, irruppe sul mercato&nbsp;con la Freccia. La C9 125, la prima di una serie, fu indubbiamente un piccolo capolavoro in termini di tecnica e stile (quasi fosse scontato in quel periodo).&nbsp;  Era fascinosa, curiosa, ed originale esteticamente oltre ad essere portatrice di un comparto tecnico decisamente avanti per il periodo soprattutto se confrontato alla Aletta Oro. Non c&#39;era un bullone in comune con la progenitrice ed a livello meccanico vantava doti prestazionali ai vertici anche confrontandosi con agguerrite rivali che al periodo si chiamavano Aprilia AF1, Gilera KZ, Honda NS 125 SS/R o Garelli GT &quot;replica Gresini&quot;.&nbsp; La C9 diede inizio alla fortunata saga delle Freccia, con l&#39;uscita nel 1988 della C10 e poi della C12, la prima moto di serie che sfruttava il cambio a 7 marce. Soluzione pi&ugrave; dettata dal marketing, ma che non tard&ograve; ad essere &quot;apprezzata&quot; dai sedicenni del periodo. Tre anni di successi che poi lasciarono il passo alla epopea delle Mito. Ma di quella moto ne parliamo QUI.  BALZO in AVANTI    Con il lancio della sua Freccia sul mercato la Cagiva colp&igrave; - &egrave; il caso di dirlo - il bersaglio.&nbsp;Una 125 sportiva&nbsp; con una aerodinamica accuratissima, con uno studio profondo dei passaggi d&rsquo;aria e per ridurre il coefficiente di penetrazione.  Le forme erano personali, col singolare parafango che carenava i foderi della forcella e la carrozzeria integrata con lo scudo aerodinamico. Telaio e ciclistica rappresentavano uno stadio evolutivo avanzato della categoria e anche la cura costruttiva e il gusto sulla ricerca del particolare furono tali da fare invidia a moto&nbsp;di classe ben pi&ugrave; elevata;&nbsp;per non parlare del coreografico codone con lo scarico a doppia uscita che sapeva tanto di Mondiale 500...  Il motore ero un monocilindrico 2 Tempi accreditato di 24,1 CV (rilevati al banco) a 10.500 giri/min di potenza massima e che, grazie anche ad un peso ridotto ad appena 128 Kg in ordine di marcia, consentiva alla Freccia C9 di spuntare un tempo di 15,7&quot; sui 400 metri e 8,4 secondi per passare da 0 a 100 Km/h. La velocit&agrave; massima si attestava sui 155,2 Km/h effettivi pi&ugrave; dei 150 Km/h dichiarati da Cagiva (numeri record per il periodo).  Gira pagina per leggere come ne parlavamo nella prova su InMoto del 1987:  &nbsp;  Alla guida    Ma la Freccia non rappresenta solo un oggetto di contemplazione! Se al primo impatto affascina, quando la si guida fa innamorare perdutamente. &Egrave; uno strumento che in mani esperte produce sinfonie, ma che lascia anche tempo a neofiti, senza scoraggiarli, di farsi la dovuta esperienza.  Il brillantissimo motore &egrave; prontissimo nel rispondere ai comandi e all&rsquo;apertura dell&rsquo;acceleratore e d&agrave; un gusto tale in accelerazione che possono dare solo motori di cilindrata pi&ugrave; che tripla. L&rsquo;accelerazione &egrave; grintosissima, con bassi regimi rotondi e sostanziosi, e un&#39;entrata in coppia molto netta attorno ai 6.500 giri, accentuata dalla gasante voce dello scarico, che diventa sempre pi&ugrave; argentina mano a mano che i giri aumentano. In meno di un chilometro ci si trova proiettati a oltre 145 km/h effettivi, e va sottolineato come tali brillantissime prestazioni siano sempre assecondate da consumi contenuti e da una ciclistica irreprensibile. Anche nel campo dei consumi la Freccia &egrave; ai vertici, a dimostrazione dell&rsquo;omogeneo rendimento del suo motore. Il cambio offre una stupenda manovrabilit&agrave; e una spaziatura dei rapporti azzeccata, bene assecondato da una frizione dolce, modulabile, progressiva e resistente.  GP in miniatura    &Egrave; insomma una vera GP in miniatura la piccola Cagiva, estremamente maneggevole, per cui gratificante anche andando a spasso, ma veramente eccitante se si ha la ventura di trovare un percorso misto stretto dal fondo buono (o magari una puntata in pista) dove sfodera una guida rotonda ed estremamente omogenea, rapida nell&rsquo;invertire le inclinazioni nelle chicanes, solidissima in appoggio e in grado di raggiungere pieghe incredibili. Estremamente precisa anche alla massima velocit&agrave; in rettilineo, ha il suo tallone d&rsquo;Achille nella taratura delle sospensioni che conducono a qualche lieve scompenso sullo sconnesso.  Anche l&rsquo;impianto frenante non ha un rendimento proporzionato a una sportiva di tale razza. &Egrave; sicuro e modulabile, ma senza dubbio l&rsquo;utenza pi&ugrave; sportiva preferirebbe una maggior grinta nelle decelerazioni, con conseguenti spazi di arresto pi&ugrave; contenuti. Un po&rsquo; rigida nella marcia cittadina, la Freccia garantisce comunque un buon comfort di marcia sui percorsi extraurbani per l&rsquo;omogeneit&agrave; delle sue reazioni, le ridotte vibrazioni e la felicit&agrave; di manovra.  Una piccola grande moto sportiva, dunque, dedicata ai sedicenni pi&ugrave; esigenti: quelli alla ricerca di una sportiva allo stato dell&rsquo;arte e che per tanta abbondanza tecnica e prestazionale, passano volentieri sopra a una posizione di guida un po&rsquo; sacrificata con la sella dura e alta e un impianto frenante migliorabile.   

L&#39;ottavo di litro di Schiranna, quando usc&igrave; nel 1987, fu un vero spartiacque tra un prima e un dopo nella storia delle 125 varesine. Inaugur&ograve; un fortunato filone che lasci&ograve;&nbsp;poi il passo nel 1990 alla Mito

Rewind, Cagiva Freccia C9: dritta al cuore

Con il lancio di questa piccola sportiva Cagiva colpì nel segno. Una 125 dall'estetica originalissima che prima del 1987 mai si era vista. 

Cagiva Freccia C9 FOTO

Durante il Salone di Milano del 2006, la Cagiva port&ograve; questo prototipo per sondare le reazioni del pubblico. Realizzata sulle sovrastrutture della Mito 125, nascondeva dentro le pance della carena un monocilindrico Husqvarna di 510 cc. Quello che era di fatto un concept&nbsp; erogava 60 CV con un peso dichiarato&nbsp;limitatissimo:&nbsp;133 kg il valore sulla bilancia. Non&nbsp;male.  MITO ALL&#39;ingrasso&nbsp;    In generale la Cagiva Mito 500 vantava &egrave; un monocilindrico da 501cc, 4 tempi, raffreddato a liquido. Distribuzione doppio albero a camme in testa, 4 valvole. La potenza massima era, come detto,&nbsp;di&nbsp;60 CV, con una coppia massima di 50 Nm.&nbsp; Il telaio (come il forcellone) erano la struttura in alluminio della 125, cos&igrave; come l&rsquo;impianto frenante, surdimensionato per i 15 CV della Mito 125 (del periodo) che prevedeva un disco anteriore da 320 mm e posteriore da 220 mm, mentre la forcella era di tipo&nbsp;teleidraulica a steli rovesciati da 40mm. Gli pneumatici restavano quelli della piccola 125:&nbsp;110/70 ZR17 all&rsquo;anteriore e 150/60 ZR17 al posteriore.&nbsp;  Quel tentativo, che rappresent&ograve; un po&#39; un andare controcorrente - come quello di costruire una supermono, per quegli anni fatti di supersportive dalle prestazioni gi&agrave; esagerate - purtroppo non venne apprezzato molto dal&nbsp;pubblico di appassionati dell&#39;epoca. Una accoglienza che&nbsp;non motiv&ograve; la Casa di Varese ad iniziare la produzione.  Un peccato. Anche se forse oggi una proposta del genere potrebbe dire la sua nel campo delle sportive di piccola/media cilindrata...   

Al Salone di Milano del 2006 la casa varesina&nbsp;port&ograve; un prototipo per sondare le reazioni del pubblico, che per&ograve; non furono favorevoli

Passate da EICMA: quando la Cagiva svel&ograve; la Mito maggiorata

Un&#39;ultima bandiera, quella a scacchi, ha sventolato per Gianfranco Castiglioni, l&#39;uomo che, assieme al fratello Claudio, &egrave; stato artefice dei successi - sportivi e commerciali - della Cagiva e della Ducati e della rinascita di MV Agusta.  Storia a filo rosso    La Parigi-Dakar, i mondiali in SBK, con il glorioso &quot;Pompone&quot; Ducati protagonista. Ma anche il Mondiale 500 o i successi sul mercato con moto come la Mito 125. Il palmar&eacute;s di un uomo come Gianfranco. Pi&ugrave; uomo da &quot;numeri&quot; che audace sognatore come lo era invece&nbsp;Claudio, Gianfranco &egrave; da annoverarsi tra i personaggi pi&ugrave; luminosi della avventura italiana tra le due ruote. Che si parli di corse o di prodotto di serie. Uomo di determinazione pari a quella del fratello: &quot;La Cagiva corre soltanto nella 500. La 125 e la 250 neanche vogliamo vederle, non sono all&#39;altezza. La 500 &egrave; la categoria numero 1. &quot; diceva in una intervista nel 1990, a proposito dell&#39;impegno della Rossa a 2 Tempi nel motomondiale. Amministratore Delegato del Gruppo Cagiva quando vennero aquisite realt&agrave; come Ducati - appunto - e MV Agusta. Fu anche Presidente di una squadra di pallacanestro, il Varese dal 2000 al 2010. E&#39; morto mercoled&igrave; 9 novembre,&nbsp;all&#39;et&agrave; di 80 anni. La salma stata portata presso la villa di famiglia a Masnago.  Alla famiglia le condoglianze dalla redazione di InMoto.  &nbsp; 

Assieme al fratello Claudio, fu co-artefice dei successi Cagiva e Ducati nella velocit&agrave;, alla Dakar e sul mercato. &nbsp;Morto all&#39;et&agrave; di 80 anni

Addio a Gianfranco Castiglioni: l&#39;ultima bandiera

        Cagiva &egrave; tornata nei raid. No, nessuna mossa ufficiale da parte del marchio, protagonista in passato di gare rallystiche come la Parigi-Dakar o il Rally dei Faraoni; semmai, la passione di un team chiamato Lucky Explorer, che ha partecipato al Rally di Sardegna con i colori dei modelli Cagiva pi&ugrave; rappresentativi del settore. Rewind, Cagiva Elefant 900 ie '91: amore per i grandi spazi I PILOTI E LE LORO CAGIVA Protagonisti del team, anche due personaggi che fanno parte del mondo MV Agusta (la Casa varesina &egrave; proprietaria di Cagiva): Filippo Bassoli, Direttore Marketing di MV Agusta,&nbsp;su un prototipo Cagiva Elefant 900 che fu pilotato da Edi Orioli, 4 volte vincitore del Rally Dakar e 2 volte del Rally dei Faraoni; e Alberto De Bernardi, coordinatore eventi di MV Agusta, su Cagiva N90 125. Assieme a loro, Ottavio Missoni, su Honda XL 600, e Riccardo Schiavotto, su Husqvarna WR 250. Avrebbe dovuto partecipare anche il CEO di MV Agusta, Timur Sardarov, con una Elephant 900, ma l'amministratore delegato &egrave; stato bloccato dall'influenza. VITTORIA A SQUADRE Il Team Lucky Explorer si &egrave; tolto una grossa soddisfazione, vincendo la gara a squadre del Rally Sardegna, in passato prova Mondiale, e dal 2019 aperto sia ai piloti professionisti che agli amatori. E grazie proprio a questi ultimi il nome Cagiva &egrave; tornato su un podio di un evento rally raid. Una vittoria romantica che sa di nostalgia. Acquisto moto d'epoca: mi levo lo sfizio        

I due modelli sono tra le quattro moto del team Lucky Explorer che ha riportato la vittoria a squadre nella competizione aperta a piloti professionisti e amatori

Cagiva, Elefant 900 e N90 125 trionfano allo Swank Rally di Sardegna

C&rsquo;erano gi&agrave; state le prime avvisaglie diversi mesi fa, dopo che MV Agusta aveva depositato il nome Elefant presso l&#39;EUIPO, l&#39;ufficio dell&#39;UE per la propriet&agrave; intellettuale.  Ora per&ograve;, Timur Sardarov, Ceo della Casa di Schiranna, che gi&agrave; in tempi non sospetti aveva lasciato intendere un ritorno del Marchio dell&rsquo;Elefantino, si &egrave; nuovamente espresso sull&rsquo;iconica endurona stradale. Il ritorno &egrave; vicino?  Cagiva: il rilancio &egrave; alle porte  Il futuro delineato da Sardarov  &ldquo;Quest&rsquo;anno - ha spiegato recentemente Sardarov - prevediamo di superare i 100 milioni di euro di fatturato, per poi triplicare questa cifra nei prossimi tre anni. Nel nostro futuro &egrave; contemplato anche il lancio di nuovi motori&rdquo;.  Una crescita che MV punta a completare anche grazie ad una recente iniezione di capitale &ldquo;utile - secondo il Ceo - anche allo sviluppo e alla produzione di nuove moto&rdquo;.  Come sar&agrave; la nuova Elefant?  E chiss&agrave; che proprio di queste moto non faccia parte la Elefant, che secondo quanto trapelato molto probabilmente non avr&agrave; bandiere, visto che con tutta probabilit&agrave; (anche se non c&#39;&egrave; ancora la certezza) verr&agrave; rilanciata come un brand che a Schiranna hanno registrato a parte. Una mossa simile a quella adottata da competitor come Piaggio (Vespa) e Ducati (Scrambler).  &ldquo;Cagiva &egrave; un marchio che appartiene a MV Agusta, ma stiamo ancora valutando le possibilit&agrave; di lanciare prodotti a marchio Cagiva o se definire Elefant come &ldquo;sottomarca&rdquo; di MV Agusta. La decisione non &egrave; ancora stata presa&rdquo;.  Ora la domanda che resta da porsi &egrave;: che moto dobbiamo aspettarci? Si punter&agrave; su un design in linea con la modernit&agrave; o su un concetto nostalgico che mira a richiamare il passato glorioso della Elefant? Staremo a vedere&hellip;    MV Agusta conferma la sua presenza ad EICMA 2021 

Sar&agrave; marchiata Cagiva o MV? Da Schiranna si sta ancora valutando, ma una cosa &egrave; certa: l&rsquo;endurona stradale potr&agrave; presto tornare a nuova vita

MV Agusta: il Ceo Sardarov apre le porte al ritorno della Cagiva Elefant

Ci sono una Honda Africa Twin XRV650 Marathon del 1988, una Yamaha 750 Super T&eacute;n&eacute;r&eacute; del 1989, una BMW GS R80 del 1984 e una Cagiva Elefant 900ie del 1990. E stanno per affrontare la vera Parigi-Dakar.    LA VERA PARIGI-DAKAR  No, purtroppo non stiamo parlando del leggendario raid i terra d&#39;Africa. Ma di un&#39;iniziativa varata da Bespoke Rallies, tour operator inglese specializzato in raid, che ha deciso di far rivivere agli appassionati i bei tempi della Dakar con un nuovo pacchetto. Quando diciamo &quot;bei tempi&quot;, intendiamo la classica Parigi-Dakar, quella nata nel 1978 e che si correva partendo, appunto, dalla capitale francese con arrivo alla capitale del Senegal. Una corsa storica che per&ograve; ha in seguito dovuto modificare il percorso, disputandosi per dieci anni in Sudamerica per poi, dal 2020, trovare nuova dimora in Arabia Saudita.    COSA OFFRE E QUANTO COSTA IL TOUR  Il pacchetto offerto da Bespoke Rallies si chiama Dakar Enduro Rally 2022: prevede l&#39;attraversamento di 4.000 miglia (6.435 km circa) da Weybridge, Inghilterra, fino a Dakar, passando per Francia, Spagna, Marocco, Sahara occidentale e Mauritania. L&#39;evento &egrave; aperto alle moto vintage, ma gli organizzatori non disdegneranno i modelli Adventure pi&ugrave; moderni. Le enduro elencate all&#39;inizio dell&#39;articolo appartengono ad altrettanti motociclisti gi&agrave; sicuri di partecipare. Non &egrave; un&#39;esperienza riservata esclusivamente ai piloti professionisti, ma Bespoke Rallies raccomanda comunque una certa esperienza nella guida fuoristrada. Il prezzo non &egrave; economico: 5.850 sterline, ovvero circa 6.800 euro. Ma chi vorr&agrave; spenderli, si assicurer&agrave; un&#39;avventura da brividi.  &nbsp;  (Foto di Rod Kirkpatrick) 

Lo propone l&#39;inglese Bespoke Rallies, che permette di percorrere il vecchio percorso della corsa storica in sella a modelli del passato: tutte le informazioni

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