Dedicata agli alpini, doveva sostituire i quadrupedi. Doti eccezzionali ma, anche grandi difetti, era nata per scalare anche i muri
Nonostante abbia un motore Guzzi a V e si guidi a cavalcioni non è una moto. Nonostante abbia il volante non è un’automobile, e nemmeno un sidecar o un carro armato, sebbene abbia tre ruote e all’occorrenza anche i cingoli.
Il Mulo Meccanico è il più strano veicolo mai costruito dalla Moto Guzzi e anche uno dei più geniali, eppure fu un buco nell’acqua. Fu anche il primo veicolo di serie sul quale venne montato l’antesignano dei motori Guzzi a V divenuti bandiera della Casa di Mandello. La denominazione ufficiale era: "Motocarro 3 x 3" e avrebbe dovuto sostituire i muli veri, quelli a quattro zampe usati dalle truppe alpine. Obiettivo ambizioso perché i generosi animali possono trasportare carichi notevoli lungo pendenze ripidissime, in ambienti ostici a qualunque veicolo, percorrendo sentieri molto stretti e affrontando impegnativi passaggi di montagna, mulattiere e scabrose pietraie.
Le foto della moto più strana realizzata da Moto Guzzi
Il "Motocarro 3 x 3", o per meglio dire il "Mulo Meccanico", fu il primo veicolo di serie sul quale venne montato l’antesignano dei motori Guzzi a V divenuti bandiera della Casa di Mandello. Ecco i dettagli di questo progetto dalla sua progettazione alla sua realizzazione e in azioni tra le Alpi
Guarda la galleryL’idea era stata del colonnello Ferruccio Garbari, successivamente divenuto generale, consulente militare dell’Esercito Italiano e validissimo tecnico: già all’inizio degli anni ’50 aveva iniziato lo studio di un rivoluzionario mezzo di trasporto destinato alle truppe alpine, che nelle intenzioni avrebbe dovuto consentire il trasporto lungo percorsi montani di carichi superiori a quelli che potevano portare i muli. Non ci si era limitati alla teoria e presso le officine O.A.R.E. (Officine Auto Riparazioni dell’Esercito) di Bologna era stato realizzato un prototipo per effettuare le prime prove. Molti dei componenti impiegati provenivano da veicoli già in uso; il motore era un monocilindrico orizzontale 500 derivato dal motocarro da trasporto Moto Guzzi Ercole, per la verità molto poco adatto allo scopo.
I collaudi si svolsero prima nei campi prova veicoli dell’esercito e successivamente lungo i percorsi in alta montagna per i quali il prototipo era stato progettato. Un primo test fu sul gruppo delle Dolomiti di Sesto, dove il tre ruote affrontò la salita da Selva Piana a quota 1556 metri, e passando per il rifugio O. Sala (poi sostituito dal rifugio Berti nel 1962) venne portato alla forcella Popéra a 2296 metri. Un’altra prova vide il prototipo arrivare sulla cima Cà d’Asti del Rocciamelone, a 2854 metri di altitudine, e fu un collaudo particolarmente avventuroso perché a causa della ripidissima pendenza del sentiero, lungo la discesa il veicolo dovette venire imbracato con delle funi e trattenuto a braccia da un folto gruppo di alpini.
Visti i risultati incoraggianti, venne coinvolta più direttamente la Moto Guzzi che da molti anni forniva motociclette all’Esercito Italiano, oltre ad essere il maggior costruttore nazionale. Del progetto furono incaricati prima l’ingegner Antonio Marcucci, papà del Guzzino, poi l’ingegner Teodoro Soldavini e infine l’ingegner Giulio Cesare Carcano, il progettista della famosa Otto Cilindri da competizione.
Molte delle problematiche erano già state affrontate dal colonnello Garbari e sarebbero successivamente state illustrate in un approfondito trattato dal titolo “La motorizzazione di montagna quale sintesi della motorizzazione speciale fuori strada”, pubblicato a cura della “Rivista Militare” nel 1956, poco dopo la realizzazione dei prototipi sviluppati a Mandello. La consulenza dell’ufficiale fu preziosa e portò a veicoli con caratteristiche decisamente fuori del comune.
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