Dedicata agli alpini, doveva sostituire i quadrupedi. Doti eccezzionali ma, anche grandi difetti, era nata per scalare anche i muri
Strutturalmente lo schema era quello del motocarro, con una ruota anteriore sterzante e le due posteriori motrici che supportavano il carico. Qui però la trazione era anche sulla ruota anteriore, la carreggiata era variabile da 1300 a 850 mm in modo da poter stringere le ruote per facilitare i passaggi più angusti, il cambio aveva sei marce più la retro e all’occorrenza era possibile montare i cingoli sulle ruote posteriori.
Tecnicamente un bel rompicapo: fra differenziali, cambio, sistema per variare la carreggiata, trasmissioni e rinvii c’erano un numero elevatissimo di ingranaggi e ruote dentate, e fu di grande aiuto il fatto che allora la Moto Guzzi realizzasse internamente tutta l’ingranaggeria dei suoi modelli, cosicché non fu necessario ricorrere ad altre aziende.
Serviva un motore più adatto dell’obsoleto monocilindrico orizzontale. Erano gli anni in cui la FIAT 500 aveva messo gli italiani in automobile a discapito del mercato motociclistico e l’ingegner Carcano, alla ricerca di nuovi sbocchi commerciali, aveva realizzato un motore bicilindrico a V costruito in due versioni: un prototipo di 500 cc venne montato sulla sua Fiat 500 personale con la quale andava in giro facendo le prime prove, l’altro di 600 cc venne destinato al Mulo Meccanico.
*A margine vale la pena ricordare che, contrariamente a quanto si crede, non fu quello il motore proposto al costruttore automobilistico per essere usato sulla sua popolare utilitaria, ma una seconda versione disegnata nel 1963.
I risultati furono più che soddisfacenti, tanto che vennero stabiliti contatti con la Fiat e una 500 equipaggiata con quel motore venne portata a Torino, dove venne tenuta in prova per tre mesi. La Fiat la restituì insieme a una lettera di apprezzamento per i risultati ottenuti, ma non si parlò mai di una possibile fornitura da parte della Guzzi e la faccenda rimase lettera morta.
Del Mulo Meccanico vennero realizzati una ventina di esemplari di pre-serie, un po’ diversi dal prototipo, e arrivare alla versione definitiva non fu una passeggiata. Ricorda Luigi Lafranconi, classe 1937, uno dei due operai che montarono i primi 20 prototipi: "Per provare il 3 x 3 i collaudatori andavano sulle mulattiere sopra Mandello ma si trattava di un progetto nuovo e spesso i meccanici dovevano andare a recuperare un veicolo che si era fermato. Una volta dovemmo usare un mulo vero, a quattro zampe, per recuperare un Mulo Meccanico rimasto in panne. Fu lo stesso Carlo Guzzi a volere che mettessimo una coperta su quel prototipo per nasconderlo da occhi indiscreti. Appena entrati dall’ingresso della fabbrica con il carretto trainato dal mulo, i battenti del cancello vennero chiusi in fretta e furia".
Finalemnte portato a termine lo sviluppo, nel 1956 il Ministero della Difesa deliberò la fornitura dei veicoli ai reparti alpini. Dal 1960 al 1961 vennero prodotti gli esemplari definitivi, in due lotti. Quanti fossero di preciso non lo saprebbe dire nemmeno la stessa Casa madre perchè non esiste più alcuna documentazione, in quanto si è trattato di una fornitura specifica per l’Esercito della quale è stata cancellata ogni traccia. Si assume che siano stati circa 200, ma al riguardo non c’è certezza.
I veicoli non incontrarono, però, il favore dei reparti alpini ai quali vennero consegnati, a causa di gravi difficoltà nel loro utilizzo. Erano tecnicamente complessi da usare e da manutenere, ma soprattutto avevano la pericolosissima tendenza a ribaltarsi sul fianco a causa delle tre ruote.
Finché si trattava di dislivelli frontali erano in grado di affrontare pendenze formidabili, ma nei percorsi di montagna erano sufficienti una curva troppo stretta o la presenza di massi per complicare la situazione. I problemi si verificavano soprattutto quando si teneva la carreggiata stretta: bastava che una delle ruote posteriori scivolasse giù dal sentiero per provocare il ribaltamento.
Così i motocarri rimasero pressoché inutilizzati nelle caserme.
Dopo un po’ di tempo alcuni vennero passati alla Polizia e verniciati di blu, ma il ciclo si era ormai concluso e tutti quanti vennero dismessi. Per la gioia dei collezionisti, dai quali, invece, sono tuttora molto apprezzati.
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